Anche il Giappone ora punta la transizione

Il Paese inizia a pensare a piani ambiziosi per la transizione energetica. E con la sua tecnologia può produrre una svolta di taglia globale.

Anche il Giappone ora punta la transizione

Il Giappone scende in campo per la transizione e la notizia deve destare grande attenzione in tutti gli osservatori. La potenza industriale, tecnologica, finanziaria e culturale di Tokyo, che sino ad oggi non ha mai messo in campo un grande progetto di transizione energetica, può fornire una svolta importante, in prospettiva, a questo progetto.

Come riportato dall'autorevole testata Nikkei, infatti, il governo del Giappone guidato da Fumio Kishida sta lavorando a un progetto di transizione energetica capace di incorporare politiche con prospettiva pluriennale per far marciare a pieno ritmo il sistema nipponico. Nikkei riporta che Kishida illustrerà entro la fine dell'anno un piano capace di ampliare gli sforzi nipponici in materia, sino ad oggi concentratisi sulle energie rinnovabili, l'elettromobilità e altri settori tesi a eliminare fonti di emissione. La sostenibilità rientrerà sotto forma di ricerca della decarbonizzazione delle industrie a più alto impatto: siderurgia, chimica, tecnologia consumano o grandi quantità di risorse naturali a impatto carbonico o notevoli quantità di materie prime di cui il Giappone è un importatore netto.

Per raggiungere i propri obiettivi di riduzione dell'impatto climatico, il Giappone necessiterà di investimenti stimati in 150mila miliardi di yen (1.130 miliardi di dollari) nell'arco del prossimo decennio. Lo stato è pronto a stanziare direttamente per la decarbonizzazione dell'economia 20mila miliardi di yen (oltre 150 miliardi di dollari) tramite l'emissione di obbligazioni ad hoc, anche al fine di muoversi in direzione contraria ai trend imposti dall'economia industriale nazionale. La grande imprenditoria giapponese, secondo Nikkei, sarebbe infatti intenzionata a una ritirata collettiva dall'agenda globale degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg), guidata da Toyota - non nuova a polemiche per le sue riserve in merito alla praticabilità economica dell'elettromobilità - che rischia di mettere in campo ostacoli alla strategia del Fondo governativo di investimento previdenziale (Gpif) che finanzia molte politiche in materia. Le imprese e la società nipponiche non hanno da un lato interiorizzato né la visione classica del capitalismo secondo cui la competizione darwiniana in funzione del profitto produce indirettamente i migliori risultati sociali né dall'altro un successivo senso di colpa che sostiene alla base la "retorica green" in termini di obiettivi ambientali da mettere di fronte a quelli sociali come volano per attrarre i consumatori all'economia della sostenibilità. Per il Giappone anche la transizione energetica è e resta un obiettivo strategico volto a preservare la stabilità di un sistema che deve muoversi tra alcuni vincoli: bassa natalità, calo demograico graduale, alto risparmio, bassa crescita, bassa inflazione, debito in mano ai risparmiatori nazionali.

In quest'ottica, la crisi energetica globale offre a Tokyo il volano per rafforzare il percorso verso la transizione energetica. L'economia e le società giapponesi hanno il timore di vedere un fattore di destabilizzazione del sistema-Paese nelle tensioni emerse prima e dopo la guerra in Ucraina, essendo l'Impero del Sol Levante uno Stato affamato di importazioni energetiche. Il Giappone continua a dipendere in gran parte dalle importazioni di combustibili fossili per soddisfare la sua domanda di energia. Il Paese oggi è considerato uno dei maggiori consumatori e importatori di energia (quasi il 96% proviene da fonti terze) al mondo. Ciò pone il settore energetico in una posizione cruciale e sensibile, rendendo inevitabile per il Giappone puntare sulla sicurezza energetica come obiettivo strategico. Inoltre, poiché il settore energetico è il maggior contributore alle emissioni di gas serra in Giappone, la sua riforma fungerà ulteriormente da fattore decisivo per la riuscita realizzazione da parte del Giappone di una riduzione del 26% delle emissioni di gas serra (GHG) entro il 2030 rispetto al livello del 2013, come concordato al Cop26 di Glasgow.

Rafforzare la politica per la transizione energetica significa, per Kishida, anche realizzare uno dei sogni interrotti del defunto ex premier Shinzo Abe nell'anno del suo brutale assassinio: Abe, salito al potere nel 2012 dopo il disastro di Fukushima, è stato il primo premier a portare in dote un discorso politico a tutto campo sulla transizione. Nel 2018, intervenendo sul Financial Times, Abe delineò le strategie della politica energetica giapponese indicando nella potenza tecnologica del Paese l'arma cruciale per Tokyo: "Il Giappone ha obiettivi come la creazione di batterie di accumulo ad altissima capacità, l'ulteriore decentralizzazione e digitalizzazione dei sistemi di controllo dell'energia automatizzati e l'evoluzione in una società energetica basata sull'idrogeno", scrisse Abe, secondo cui "dobbiamo anche concentrarci sulla riduzione delle emissioni delle infrastrutture. In Giappone, la nostra rete ferroviaria ad alta velocità Shinkansen previene la congestione e aumenta l'efficienza complessiva del trasporto di carburante a livello nazionale. Abbiamo anche fissato l'obiettivo delle nostre case automobilistiche di ridurre dell'80% le emissioni di gas serra per veicolo che producono entro il 2050".

Obiettivi ambiziosi e che ora Kishida vuole rimettere in campo. L'ecosistema giapponese di innovazione aperta fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla rapida corsa al mercato delle nuove tecnologie, il cosiddetto Deep Tech. Nella regione di Kansai, tra Osaka, Kyoto e Kobe, università, centri di ricerca, fondi di venture capital e imprese sono già al lavoro per cercare tecnologie efficaci da portare in campo per migliorare monitoraggio delle reti, efficienza e efficacia degli impianti, nuovi progetti per il risparmio calorico e termico. La spinta del governo e l'eredità del modello di Abe per una transizione vincente possono fare il resto e trasformare il Giappone in una grande potenza della trasformazione dei sistemi produttivi in un'ottica più sostenibile. Unendo il potenziale della transizione green a quello, già espresso, della transizione digitale che in Giappone si sostanzia con investimenti in macchinari avanzati, automazione industriale, intelligenza artificiale.

E mettendo Tokyo con ambizione sulla strada che il suo rivale regionale, la Cina, sta già percorrendo da tempo. Con l'obiettivo di fare del Giappone, potenzialmente, un faro dell'Occidente e del mondo ad esso alleato in una sfida cruciale. In cui la cultura d'impresa, le tecnologie e i capitali giapponesi torneranno utili.

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