Emirati e Italia: l'asse possibile sulla transizione energetica

Investimenti, appoggi politici, obiettivi strategici: la cooperazione sulla transizione energetica tra Italia e Emirati può portare mutui benefici a Roma e Abu Dhabi

Emirati e Italia: l'asse possibile sulla transizione energetica

Economia circolare, ricerca di nuove fonti pulite, alleanze tecnologiche: tra Italia e Emirati Arabi Uniti la transizione energetica può essere il pivot per un'alleanza economica capace di portare risultati importanti. Da un lato, per alimentare con capitali e strategie comuni un processo che ha necessità di venire promosso su scala globale; dall'altro per accentuarne le ricadute "geopolitiche".

Gli Emirati accelerano la transizione

L'Italia può e deve sfruttare il grande interesse degli Emirati per la transizione energetica: in questi giorni il Paese del Golfo, tra i più attenti nella regione a diversificare l'economia dalla mera rendita petrolifera, ha annunciato un piano decennale di investimenti dal valore di 50 miliardi di dollari, focalizzati soprattutto sulla creazione degli impianti per lo sfruttamento dell'idrogeno verde a fini energetici. Sultan al-Jaber, presidente della compagnia petrolifera nazionale Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc) e Ministro dell'Industria, è tra i principali avvocati di un processo in cui ritiene che Abu Dhabi possa giocare un ruolo fondamentale: al Sustainability Week Summit di maggio, al-Jaber ha dichairato che a suo avviso la transizione energetica richiederà 30mila miliardi di dollari di investimenti su scala globale nel prossimo decennio e gli Emirati sono interessati a fare la loro parte. Il Paese guarda con attenzione, in particolar modo, alla conferenza mondiale sul clima del 2023, che sarà ospitata a Dubai.

In quest'ottica, molti investimenti passano dalle possibilità di cooperazione con Paesi come l'Italia. Gli Emirati e l'Italia hanno la possibilità di lavorare assieme per promuovere, agli opposti estremi, la transizione energetica nell'area del Mediterraneo allargato, da anni sempre più interconnessa e centrale per le dinamiche globali.

Le partnership possibili

Il primo fronte di collaborazione è nei Paesi di comune rilevanza strategica, come quelli dell'Africa settentrionale. Eni, a tal proposito, a fine 2021 ha firmato un protocollo d'intesa con la holding statale degli Emirati, Mubadala, al fine di promuovere investimenti congiunti dall'Algeria al Golfo, dall'Egitto al Sud-Est Asiatico in diversi settori: il Cane a sei zampe lavora a fianco di Mubadala per aumentare, nei mercati di riferimento, il peso del gas naturale rispetto al petrolio fino a due terzi del portafoglio e, in prospettiva, sviluppare le reti a idrogeno e la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica. L'obiettivo è ambizioso e con prospettiva decennale e andrà valutato passo dopo passo nella sua realizzazione.

Il secondo fronte è quello dello sviluppo industriale e della collaborazione finanziaria. Gli Emirati si stanno mostrando tra i maggiori mercati finanziari del mondo e hanno un posizionamento chiave, estremamente attrattivo per il business. I capitali di Dubai e Abu Dhabi possono contribuire a realizzare la "profezia" dell'ad di BlackRock, Larry Fink, circa il futuro sdoganamento delle start-up attive nella transizione come futuri "unicorni" miliardari. E i programmi degli Emirati saranno orientati anche al finanziamento e al venture capital di imprese estere. A fine 2021 il fondo sovrano Mubadala ha accettato di vendere partecipazioni nella sua controllata al 100% per l'energia pulita Masdar alla Adnoc e alla Abu Dhabi National Energy Company (Taqa) di proprietà del governo in cambio delle loro attività di idrogeno verde e rinnovabile. In un complesso sistema di partecipazioni incrociate tra i gruppi controllati dallo Stato Taqa deterrà il 43% delle attività rinnovabili di Masdar, Mubadala manterrà il 33% e Adnoc deterrà il 24% dopo la transazione. A sua volta, deterrà una partecipazione del 43% nel business dell'idrogeno verde di Masdar, Mubadala ha il 33% e Taqa possiede il 24%. L'obiettivo è fare sistema e promuovere il Paese all'estero, sfruttando anche il veicolo di nuovi mercati come quello della finanza islamica, fortemente interessata al sottostante reale degli investimenti.

C'è poi il punto del coinvolgimento di Roma nel mercato interno degli Emirati. "Il nostro Paese vanta un’esperienza unica e virtuosa in questi settori e la dimensione piccola e media delle imprese italiane è quella che fa al caso delle controparti emiratine", commenta Giovanni Bozzetti, Vicepresidente Vicario Confindustria Cisambiente con delega all’Internazionalizzazione. Bozzetti aggiunge che "l’Italia è una vera e propria superpotenza nell’economia circolare, detenendo la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (79,4%, contro una media europea di 48,6%). Ben 441 mila imprese hanno investito negli ultimi cinque anni in prodotti e tecnologie green: sono quelle che innovano di più, esportano di più, producono più posti di lavoro" e possono conquistare un mercato complesso come quello degli Emirati.

Da ultimo, l'asse tra Italia e Emirati può aiutare a fare dell'energia il perno della distensione nell'area mediorientale, in cui per decenni il petrolio e il gas naturale sono stati i pomi della discordia per conflitti, guerre e repressioni. In futuro, le infrastrutture critiche per le rinnovabili, l'energia pulita ma anche i vettori di risorse-ponte (gasdotti in testa) possono creare nuove reti e interconnessioni. Sta già succedendo tra Israele e Egitto, potrà accadere tra il Golfo, la stessa Israele e il Nord Africa, per arrivare fino a Paesi come la Turchia e la Grecia. E in tutte queste partite la partnership con un attore chiave come l'Italia, riscoperta nella sua vocazione mediterranea, può e deve essere fondamentale.

Anche questi temi possono essere posti sul tavolo alla Cop28 di Dubai nel 2023. Ma bisogna iniziare a lavorare. E Italia e Emirati possono creare un duo capace di promuovere attivamente e fattivamente una transizione pragmatica e vantaggiosa.

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