"No ai tabù sul nucleare: l'Italia sia protagonista della transizione energetica"

Conversazione con l'economista Gian Piero Joime sulle nuove tecnologie del nucleare e sulle prospettive che esso può avere nella corsa italiana ed europea alla transizione energetica

"No ai tabù sul nucleare: l'Italia sia protagonista della transizione energetica"

Il tema del nucleare sta diventando sempre più cruciale nel quadro del dibattito politico italiano ed internazionale. C’è prospettiva per un futuro di questa tecnologia nel quadro del sistema-Paese italiano? E se sì, può davvero contribuire al futuro della transizione energetica? Quali prospettive ha, inoltre, la ricerca tecnologica in materia? Per comprendere questi temi ci siamo confrontati con uno dei più attenti studiosi in Italia del tema, il professor Gian Piero Joime.

Joime è docente di economia dell’ambiente e del territorio presso la facoltà di Scienze Economiche dell’Università Guglielmo Marconi di Roma; è consigliere di amministrazione del Polo Universitario Grossetano; è consigliere direttivo e membro di giunta di ISES Italia, International Solar Energy Society, la principale associazione tecnico-scientifica internazionale fondata nel 1978 per la promozione dell'utilizzo delle Fonti Energetiche Rinnovabili. È inoltre membro del comitato scientifico del Pomos, il polo della mobilità sostenibile dell’ Università La Sapienza di Roma, dell’Istituto Stato e Partecipazione e del GRE, Gruppi di Ricerca Ecologici.

Il nucleare sta tornando nel dibattito politico. Qual è il suo pensiero sul tema? È importante che si torni a discutere?

"Il tema dello sviluppo dell’energia nucleare è oggi al centro del dibattito politico ed economico mondiale. Gli sfidanti obiettivi climatici, la sicurezza degli approvvigionamenti e l’esigenza di famiglie e imprese di avere a disposizione energia a prezzi convenienti rendono la trasformazione del sistema energetico una necessità inderogabile ed urgente. Ed è in quest’ottica che la riflessione sul nucleare torna in gioco".

Partiamo dal tema della trasformazione di cui parla. Sta già prendendo piede, a suo avviso?

"Tale trasformazione è già in atto da almeno un ventennio e a ritmi crescenti, spinta certamente da interventi di supporto dei policy maker ma sempre più da motivi economici: si pensi ad esempio alle rinnovabili anche decentralizzate lato produzione di energia, alle nuove tecnologie lato consumo come i veicoli elettrici o le pompe di calore. I trend recenti e gli scenari futuri delle maggiori agenzie internazionali, delle istituzioni e delle organizzazioni di settore vedono da qui al 2050, in particolare in quelle regioni dove obiettivi di net zero sono in via di definizione, un costante declino dell’utilizzo delle fonti fossili – solide e liquide e gassose -, il continuo sviluppo delle rinnovabili, l’aumento dell’elettrificazione negli usi finali (dal 20% odierno a oltre il 50%), l’avvento di nuovi combustibili rinnovabili o a bassa intensità di carbonio come l’idrogeno e suoi derivati, l’utilizzo in generale di nuove tecnologie lato produzione e consumo e nel sistema (reti intelligenti, batterie) che permettano l’emergere di un sistema energetico integrato e decarbonizzato. La transizione energetica in atto si è fondata, sino a poco tempo fa, sul prevalente principio di un mix energetico basato sul grande sviluppo delle rinnovabili e sulla sostituzione di petrolio e carbone con il meno inquinante gas: modello oggi messo in discussione proprio dal crescente e fuori controllo costo del gas".

Il “colpo di pistola di Sarajevo”, in quest’ottica, è stata la guerra in Ucraina…

"In questo contesto, l’emergere della crisi energetica nell’immediato della ripresa post Covid-19, acutizzatasi con la guerra in Ucraina, ha rimesso in discussione, in particolare in Europa - la regione più colpita dagli effetti pervasivi sull’economia dell’aumento dei prezzi del gas e dai timori sulla sicurezza degli approvvigionamenti – non tanto gli obiettivi di decarbonizzazione a lungo termine, quanto il modo e la traiettoria da seguire per raggiungerli, quali tecnologie utilizzare. Il gas naturale, considerato come una fonte energetica necessaria nella transizione – nei suoi usi attuali per la produzione di energia termica per i processi industriali e il riscaldamento degli edifici e per la generazione di elettricità a emissioni ridotte rispetto al carbone e con caratteristiche di flessibilità necessarie in un sistema elettrico dominato nel prossimo futuro da rinnovabili intermittenti – non sembra più garantire quelle caratteristiche di sicurezza sulla sua disponibilità ed economicità che ne hanno fatto un componente imprescindibile del mix energetico da perseguire anche negli anni a venire, non solo nella situazione di crisi odierna, ma anche nel futuro".

E dunque in quest’ottica si riaprono spazi per il nucleare?

"Si. Di fronte a questi scenari ecco che il nucleare, tecnologia ampiamente utilizzata nel mondo per la produzione di elettricità baseload a basse emissioni e attualmente ancora sviluppata, seppure in misura minore nel mondo occidentale, come spesso è avvenuto nella storia del suo sviluppo a valle di crisi energetiche, rientra nella discussione dei policy makers e dell’opinione pubblica come possibile fonte primaria sicura e decarbonizzata su cui contare".

In sostanza, dunque, più che di riscoperta forse sarebbe meglio parlare di “rilancio” del nucleare?

"Esattamente. Nel report dell’IPCC (International Panel Climate Change) del 2018, tutti gli scenari di decarbonizzazione al 2050 prevedono a livello globale un aumento dell’utilizzo dell’energia nucleare che va da un minimo di +100% ad un massimo di +722% . L’interesse per il nucleare non si è mai d’altra parte interrotto neanche in Europa, seppure lasciato alla scelta degli stati membri: questo non solo nei Paesi che già dispongono di questa tecnologia nel loro mix produttivo, alcuni dei quali stanno costruendo nuovi impianti ma anche in nuovi Paesi che intendono sviluppare capacità nucleare nei prossimi anni con discussioni e programmi più o meno avanzati. Il nucleare è stato infatti di recente incluso nella tassonomia europea delle attività “sostenibili”, condizione non sufficiente ma senza dubbio abilitante alla realizzazione di nuovi investimenti".

Qual è ad oggi, a tal proposito, lo “stato dell’arte” della diffusione del nucleare nel mondo?

"Alla fine del 2021, 437 centrali nucleari erano in funzione in 32 Paesi nel mondo, con una capacità totale installata di circa 389 GW. Questi impianti hanno generato circa 2600 TWh, corrispondenti a circa il 10% del totale dell’elettricità generata: il nucleare complessivamente è ancora la seconda fonte a basse emissioni di CO2 nella produzione di elettricità dopo l’idroelettrico. Gli Stati Uniti (97), la Francia (56) e la Cina (55) hanno il maggior numero di reattori in funzione, mentre la Francia (70%), l’Ucraina (55%) e la Slovacchia (52%) producono la quota più alta di elettricità con tecnologia nucleare. L’Europa complessivamente ha una percentuale di elettricità prodotta da nucleare del 24%, con 13 Paesi dei 27 facenti ricorso al nucleare".

E sul fronte degli sviluppi promossi dai governi?

"Il trend di sviluppo appare consistente: oggi, 56 centrali nucleari sono in costruzione nel mondo, per una capacità totale di 57 GW, la maggior parte con una capacità anche maggiore di 1GW. Gran parte di esse è in costruzione in Asia, a conferma del trend degli ultimi 20/30 anni che ha visto le economie emergenti (Cina e India in particolare) come attori principali del nuovo sviluppo di impianti e i paesi occidentali ridurre al minimo i nuovi progetti. È doveroso sottolineare due aspetti che caratterizzano l’industria nucleare odierna, nell’ottica delle possibili conseguenze sui futuri sviluppi del nucleare e l’urgenza di un cambio di passo da parte dei proponenti. Gli impianti attualmente in costruzione, in particolare nel mondo occidentale (Europa e Stati Uniti in primis), soffrono di ritardi elevati nei tempi di costruzione e di extra costi rispetto alla stima iniziale che rendono la tecnologia nucleare poco appetibile per gli investitori per via della sua onerosità e della evidente difficoltà ad integrarsi in un mercato competitivo come quello elettrico; anche se esistono esempi, in particolare in Cina, ma non solo, di impianti costruiti nei tempi previsti e nel rispetto, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, dei costi preventivati".

Insomma, c'è un mondo che ha sempre più fame di nucleare…

"Prendendo a riferimento lo scenario “net zero emissions” della Agenzia Internazionale dell’Energia, la potenza di impianti nucleari installata nel mondo raddoppia da oggi al 2050, arrivando a più di 800GW dai circa 400GW odierni. La maggior parte (90% circa) della nuova capacità (al netto di quella che andrebbe a compensare le centrali che verrebbero ritirate dalla rete e soggette a decommissioning) verrebbe da Cina ed altre economie emergenti; le economie avanzate vedrebbero un aumento del 10% della potenza, con i ritiri che verrebbero più che compensati da nuove installazioni grazie a nuovi programmi di sviluppo principalmente negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra e in Canada".

Gli scenari quindi dicono che su scala globale il nucleare è promosso come fonte per la transizione energetica?

"Gli obiettivi climatici e quelli sempre più stringenti di sicurezza degli approvvigionamenti ed indipendenza energetica evidenziano dunque con chiarezza la necessità per le singole nazioni e le macro-regioni del mondo di ripensare al proprio futuro energetico e al mix necessario a garantirli. Mentre rinnovabili ed elettrificazione sono delle opzioni no-regret, il mondo sembra non poter rinunciare in questo momento e nel futuro al nucleare. Diversificazione delle fonti, disponibilità di energia di base, flessibile e decarbonizzata ed economicità (se confermata), impongono di considerare anche il nucleare nelle possibili scelte, non solo per i Paesi che già ne dispongono, ma anche per gli altri".

Quale può essere la nuova frontiera dell’innovazione tecnologica capace di rendere il nucleare più appetibile in futuro?

"L’interesse del sistema energetico mondiale è rivolto non solo alle tecnologie classiche esistenti più o meno evolutive e ai grossi impianti centralizzati ma anche a nuove ed innovative soluzioni, come gli Small Modular Reactors, che promettono non solo una maggiore sicurezza e un ridotto problema di smaltimento ma anche maggiori certezze sull’economicità della soluzione. Tale necessità è ancora più evidente o, quanto meno, considerata con maggiore attenzione, nella situazione di crisi odierna, nell’ottica di riuscire a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti attraverso la diversificazione e lo sfruttamento di risorse domestiche".

Reattori più piccoli e modulari possono dunque rendere più “flessibile” l’installazione del nucleare?

"Gli scenari delle maggiori agenzie internazionali vedono dunque la permanenza del nucleare nel mix produttivo mondiale come necessario per assicurare la disponibilità di energia elettrica decarbonizzata, baseload e in grado, in una certa misura, di seguire con flessibilità la domanda, a complemento delle tecnologie rinnovabili. La disponibilità di energia nucleare verrà dunque garantita sia da estensioni della vita utile degli impianti esistenti, laddove possibile ed economicamente efficiente, sia dalla costruzione di nuove centrali. In termini di tecnologie, questo verrà assicurato sia da centrali nucleari “convenzionali” della tipologia di quelle attualmente in costruzione (grossi impianti ad acqua leggera di generazione III o III+), sia, con grande probabilità, da una nuova filiera attualmente in fase di sviluppo, quella degli Small Modular Reactors (SMR)".

Come funzionano all’atto pratico gli SMR?

"Gli SMR sono una classe di impianti nucleari molto variegata in termini di tipo di combustibile, refrigerante, moderatore e configurazione (unità singola, multi-unità/modulo, a terra o galleggiante), caratterizzati da una potenza di impianto ridotta (convenzionalmente dai 10 ai 300MW) rispetto alle centrali nucleari normalmente impiegate. Nelle intenzioni dei proponenti, tali impianti potrebbero risolvere i problemi attualmente incontrati nella costruzione di centrali nucleare (extra costi, extra tempi) grazie alla “modularità” del design e della successiva tecnica di installazione che permetterebbe di costruire tali moduli in fabbrica (in un ambiente più facilmente controllabile e specializzato) e di assemblarli successivamente nel sito ospitante l’impianto, minimizzando le attività di cantiere e ovviando così alle difficoltà nella gestione dei grossi progetti riscontrate negli ultimi anni, in particolare nel mondo occidentale".

Quindi una soluzione anche ai problemi dell’attrazione di investimenti di cui parlava?

"Un altro vantaggio degli SMR, derivante dalla taglia di impianto, è il ridotto costo di investimento iniziale e dunque la maggiore facilità di finanziare i progetti (e degli attori in grado di effettuare gli stessi) rispetto a un impianto nucleare convenzionale. Da aggiungere il fatto che una caratteristica interessante dei reattori multi-unità/modulo, che condividono i sistemi ausiliari e gli edifici di impianto, è la possibilità di mettere in esercizio in tempi successivi le diverse unità/moduli, permettendo ai ricavi della prima unità di finanziare la successiva in cascata, riducendo quindi ancora una volta i costi di finanziamento e i rischi. Si noti che, affinché i costi specifici (€/MW) e dunque i successivi costi di generazione (€/MWh) rimangano bassi, anziché puntare sulle economie di scale, tale filiera conta di ottenere economie “di serie”, ovvero abbassare i costi unitari di realizzazione dei singoli moduli e degli impianti grazie allo sviluppo di un numero elevato di moduli, replicando e standardizzando le prime realizzazioni".

E sul fronte della sicurezza degli impianti?

"Altre caratteristiche positive degli SMR sono un ricorso maggiore alla sicurezza intrinseca e passiva, la possibilità di costruire gli impianti più vicini ai centri abitati o utenze industriali/commerciali (riduzione dell’Emergency Planning Zone e della zona d’esclusione), la minimizzazione (o il bruciamento) dei rifiuti radioattivi a seconda del ciclo di combustibile adottato, una maggiore flessibilità a seguire il carico elettrico, la possibilità di utilizzare il calore di scarto per produrre calore (anche ad alta temperatura in alcune tipologie di reattore) e/o produrre idrogeno (sia per via elettrochimica che termochimica). Ancora una volta, la ridotta taglia di impianto potrebbe veder aumentare le possibilità di utilizzo di tali impianti, non solo per la produzione centralizzata di potenza elettrica ma anche con sistemi dedicati a consumatori industriali (di elettricità, di calore, di idrogeno) e/o decentralizzati e comunque collegati alle infrastrutture energetiche (reti elettriche, di calore, di idrogeno), ed infine in aree remote senza accesso alla rete elettrica o in Paesi in cui l’ulteriore sviluppo della rete elettrica di trasmissione è difficoltoso o non convenente".

Parliamo di una tecnologia che sta già venendo messa alla prova nel mondo?

"Attualmente più di settanta modelli di SMR sono in fase di sviluppo nel mondo a diversi livelli di maturità tecnologica. Due di essi sono entrati di recente in esercizio (uno in Russia, del tipo mobile montato su una nave che poi cede energia sulla terra ferma nella zona artica, ed uno in Cina) e tre in costruzione (in Argentina, Russia e Cina). Più del 50% dei modelli più avanzati, sono reattori ad acqua leggera che di fatto costituiscono una evoluzione della tecnologia odierna con scala ridotta, gli altri sono nuove tecnologie (anche di IV generazione), di diversa natura (reattori veloci al sodio, a gas ad alta temperatura, a sali fusi, al piombo...) e con tempi di maturazione più bassi. Tralasciando Russia e Cina che hanno in sviluppo numerosi reattori, nel mondo occidentale i più avanzati, anche in termini di supporto governativo e di programmi di finanziamento ad-hoc per gli SMR, sono Stati Uniti (con Nuscale ma anche il reattore ad acqua bollente di GE-Hitachi), Canada, Francia (con EDF/CEA e il reattore Nuward) e Inghilterra (con Rolls Royce). A questi tuttavia si aggiungono numerosi paesi (anche potenziali new-entrants nel nucleare) che hanno in programma lo studio e la decisione di sviluppare SMR (in Europa Finlandia, Olanda, Repubblica Ceca, Romania, Paesi Baltici, Svezia)".

Dunque in futuro si preannuncia una competizione attiva…

"In termini di vendors e designer, si deve sottolineare la vivacità del panorama di attori industriali (non solo già consolidati ed attivi nelle attuali tecnologie ma soprattutto nuovi), in competizione tra loro nell’avanzare nel design e in grado di catturare finanziamenti non solo pubblici ma anche da venture capital. Gli SMR presentano indubbiamente caratteristiche favorevoli (taglia, certezza sui tempi e i costi di investimento, finanziabilità, sicurezza, gestione dei rifiuti) per una nuova generazione di impianti nucleari, in linea con le aspettative degli investitori e dei governi. La tecnologia più vicina a un possibile sviluppo nel prossimo decennio è una evoluzione della classe di reattori attuali ad acqua leggera, con technology provider e modelli occidentali disponibili seppur ancora da realizzare in progetti concreti di prototipazione o direttamente di “first of a kind”; nuove tipologie di impianto più rivoluzionarie necessitano ancora di una fase di ricerca e sviluppo importante. È tuttavia evidente che sono ancora pochi gli SMR in esercizio e in costruzione e non esiste, dunque, un ritorno di esperienza sufficiente per garantire il rispetto dei vantaggi che, almeno sulla carta, questi impianti promettono. Sarà necessaria, inoltre, una selezione (da parte dei possibili investitori ma anche dei governi) di qualche modello tra gli oltre settanta in studio e sviluppo: per permettere l’emergere di economie di serie e quindi l’economicità della soluzione è importante infatti permettere la realizzazione in serie di molti impianti standardizzati e quindi senza sensibili modifiche (dovute al sito o alla autorità di sicurezza). Anche l’approccio ai requisiti di progetto, di sicurezza e di valutazione dei design per ottenere la licenza dovrà essere armonizzato da parte delle differenti autorità di sicurezza nazionali, superando quindi l’approccio attuale che vede, seppur in un’ottica di collaborazione, ogni autorità di sicurezza nazionale come unico interlocutore, in grado di chiedere modifiche importanti al design indipendentemente da quanto stabilito da quelle degli altri stati. Questo permetterebbe di supportare un mercato globale (o quanto meno regionale) e l’affermarsi di una value-chain solida (incluso nel ciclo del combustibile), in grado di replicare in serie i processi di fabbricazione e costruzione".

Dunque entriamo in una fase decisiva per la “maturazione” delle tecnologie per il nucleare?

"I prossimi anni saranno decisivi ed è necessario partire con la selezione delle tecnologie e le prime realizzazioni, in particolare nel mondo occidentale. Solo allora, e con i primi ritorni di esperienza, sarà possibile giudicare sulla bontà della soluzione tecnologica SMR. Mentre i Paesi più avanzati in termini di industria nucleare saranno probabilmente i primi a partire con lo sviluppo prendendosi dei rischi (e in seguito i possibili benefici nell’esportare tecnologia), i Paesi che intendono entrare nel nucleare o riprendere con la costruzione di impianti pur non disponendo di una tecnologia, dovranno essere attivi nel dialogo internazionale tra stakeholder ed essere pronti con un quadro legislativo, regolatorio ed industriale abilitante. Appare evidente che anche in questo emergente settore del nucleare di piccola taglia, o si comincia, e da subito, a studiare e partecipare al dibattito, o non resta che assistere da spettatori".

In quest’ottica, guardando all’ipotesi di un ritorno di tale tecnologia in Italia, il nucleare si può sposare coi progetti di comunità energetica del Pnrr?

"Il nucleare e in particolare il nucleare di piccola taglia potrebbe dal punto di vista logico e tecnologico integrarsi nei diversi obiettivi e progetti della transizione ecologica presenti nel Pnrr e, in Europa, nel Fit 55 e nel successivo Repower Eu, andando a definire un mix energetico per l’elettrico basato su rinnovabili e nucleare, e dunque raggiungendo il duplice obiettivo di riduzione della CO2, e degli altri fattori climalteranti, e di sicurezza e autonomia energetica. L’ostacolo da superare per cominciare a valutare liberamente le opportunità e le minacce dell’opzione nucleare nel prossimo mix energetico nazionale è, in estrema sintesi, costituito dall’ideologia del no a prescindere. L’Italia, pur considerando che per due volte, a valle degli incidenti di Chernobyl e di Fukushima, ha per via referendaria di fatto escluso il ricorso all’energia nucleare – nel 1987 portando alla chiusura anticipata degli impianti in esercizio e all’interruzione dei lavori in una centrale in costruzione, e nel 2011 bloccando il programma nucleare allora in definizione di costruire una serie di centrali di tecnologia francese – non sembra esclusa dalla tendenza di rinnovato interesse, sia in una certa classe politica che in parte dei cittadini. Pur sembrando molto difficile, ad oggi, prevedere la messa in discussione di tale scelta, è senza dubbio fondamentale capire, senza semplificazioni, come la tecnologia nucleare si posiziona nello scenario energetico dei prossimi anni, nonostante le diverse voci contrarie a prescindere, voci che certamente non contribuiscono alla comprensione del complesso tema energetico ed escludono a priori una corretta analisi dei costi e delle opportunità delle diverse fonti energetiche".

Il professor Vincenzo Pepe, di recente, dialogando con la nostra testata, ha proposto una riflessione in materia di superamento del “No a tutto”, specie sul nucleare. Nelle sue parole appare una preoccupazione molto simile: quella di frenare per motivi ideologici scienza e sviluppo…

"Il nucleare, che in Italia ha vissuto per molti anni una vita quasi nascosta, andrebbe invece studiato e compreso in profondità, e quindi valutato come opzione strategica per il mix energetico nazionale e continentale, come energia sostitutiva al gas e come tecnologia complementare, e non alternativa, al fotovoltaico e all’eolico; andrebbe analizzato con un pensiero finalmente libero da preconcetti e privo di ideologici tabù. In questo turbolento scenario, il nucleare di piccola taglia è una nuova grande sfida per lo sviluppo nel medio periodo di un sistema di energia distribuita, integrata alle fonti rinnovabili e sempre più indipendente dalle fonti fossili; una sfida da studiare e da valutare con grande attenzione, che potrebbe vedere il nostro Paese, ancora molto ricco di capacità industriali e di forza innovativa, come protagonista, e non solo come spettatore della Grande Transizione".

In Italia, ad oggi, parliamo comunque di un sistema dominato dall’oro blu. In che modo il binomio gas naturale/nucleare può essere una struttura per la transizione?

"Secondo l’ultimo report del giugno 2022 di Elettricità Futura, a fronte di una domanda nazionale di energia elettrica che passerà dagli attuali 318 TWh ai 360 TWh nel 2030, il nostro Paese per rispettare il target europeo per la decarbonizzazione definito prima dal Fit 55 poi dal Repower Eu, dovrà installare oltre 85 GW di rinnovabili entro il 2030 (coprendo con pannelli fotovoltaici e pale eoliche non più dello 0,3% dell’intera superficie nazionale). Con la realizzazione di questo ambizioso ma fattibile obiettivo il nostro fabbisogno elettrico verrebbe soddisfatto per almeno l’84% da fonti rinnovabili. Se nel breve e medio periodo il gas è necessario, però avendolo, per una transizione energetica equilibrata, nel lungo periodo, quindi entro il 2030, il binomio rinnovabili-piccolo nucleare avrebbe una logica più coerente, dopo averne naturalmente valutato tutti gli aspetti, sia con l’obiettivo della decarbonizzazione sia per raggiungere una maggiore sicurezza e indipendenza energetica. Certamente se dovesse continuare prevalere la cultura del no a prescindere, questa prospettiva non verrebbe neanche presa in considerazione, sviluppandosi in altri Paesi europei".

In prospettiva, analizzando lo status quo che scenari vede per la temuta crisi energetica autunnale e invernale?

"Si tratta di una crisi che andrebbe affrontata con estrema rapidità, per l’immediato, e con lungimiranza, per il prossimo futuro. Soprattutto prendendo atto senza paura che lo stato è quello di guerra economica. Nel breve periodo il costo del gas e quindi dell’elettricità si sta traducendo in bollette insostenibili per le imprese e per le famiglie italiane, bollette tali da mettere in forte crisi tanto l’offerta nazionale, con prospettive di chiusura o comunque di perdita di competitività di molti settori, quanto la domanda, incidendo per ovvi motivi sulla capacità di spesa. Insomma un grave circolo vizioso, molto pericoloso per la tenuta dell’intero sistema socio economico. È evidente che il problema è già diffuso e che non si possono attendere ne’ gli assestamenti della mano invisibile del mercato, che per il gas sta ad Amsterdam, ne’ i lunghi negoziati della burocrazia europea. Sembra quindi necessario nel breve periodo un immediato intervento pubblico: per ridurre il costo delle bollette, agendo sulla leva fiscale e dilazionando le spese; per mettere un tetto al prezzo del gas, per disaccoppiare il gas dalle rinnovabili nella composizione del prezzo dell’elettricità.

Su scenari più lunghi invece? Qual è la sua visione?

"Nel medio lungo termine occorre andare avanti molto velocemente verso la realizzazione di un mix energetico fortemente centrato sulle rinnovabili, seguendo l’obiettivo degli 80gw entro il 2030, - cercando al contempo di costruire una filiera industriale nazionale di pannelli fotovoltaici, pale eoliche, inverter, sistemi di storage - e con la libertà di valutare senza preconcetti anche l’opzione del mini-nucleare, seguendo il traguardo delle lotta al cambiamento climatico e dell’autonomia energetica. L’Italia nell’era della transizione ecologica, e in questa drammatica guerra dell’energia, può giocare un ruolo da grande protagonista nel quadro europeo: per la sua posizione geo-strategica, che la rende hub naturale per gli approvvigionamenti che provengono dal Mediterraneo, per l’attuale consistenza nazionale del sistema delle rinnovabili, per la presenza di grandi imprese di rilevanza internazionale, con le quali trainare una modernizzazione energetica basata sul controllo di tutte le fonti – gas e petrolio, rinnovabili, nucleare – e anche finalizzata sia a lottare contro il cambiamento climatico che a difendere la capacità di produzione industriale, e a rafforzare l’innovazione.

Risulta di vitale importanza per la risoluzione della grave attuale crisi energetica e per la costruzione di solide basi per il futuro, che si affronti la questione energetica con una visione libera e completa di tutte le fonti del nuovo mix energetico e di tutte le opportunità tecnologiche, e quindi anche del nucleare; con una visione certamente più attenta ai dati e alle evidenze scientifiche rispetto ad altre più ideologiche posizioni, contrarie a questo e a quello ed ancorate a scenari passatisti".

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