La truffa dei referendum è così smaccata che verrebbe voglia di non parlarne nemmeno per non concedere un’immeritata importanza a coloro che l’hanno organizzata. È tuttavia vero che uno dei principali doveri di un quotidiano è quello di fare informazione, quindi ci tocca anche regalare questo favore agli imbroglioni del referendum e concedergli l’agognata attenzione per spiegare le (tante) bugie nascoste nelle urne.
La prima, grande truffa è stata correttamente spiegata ieri su queste pagine da Magdi Cristiano Allam che ha sottolineato come votare per il referendum non sia affatto un dovere ma che anzi, l’astensione sia una scelta perfettamente legittima e, ormai per prassi, la mossa corretta per chi intenda esprimere la propria contrarietà ai quesiti. Dato che in caso di mancato raggiungimento del numero di voti espressi pari al 50% degli elettori il referendum è considerato nullo, ormai da tempo l’astensione è l’arma di chi desideri votare no ai quesiti: infatti dal ’95 nessun referendum proposto è più risultato valido proprio perché l’astensionismo dei contrari ha fatto mancare il quorum. Fa quindi tristezza vedere una persona come Benedetto Della Vedova, ex Pdl, radicale (e quindi esperto di cose referendarie) e ora Fli, avere la faccia tosta di andare in televisione da Bruno Vespa e dire che si dava indicazione di votare per il «no» ad un quesito come quello sull’acqua, che vuole abrogare una liberalizzazione che porta la firma del suo compagno di partito, Andrea Ronchi. Dire di votare per il «no» è una pura e semplice truffa, dato che un minimo di onestà intellettuale vuole che le scelte reali siano tra il «sì» e l’astensione. Il voto «no» è esattamente equivalente a votare «sì» perché contribuisce a far raggiungere il quorum e quindi validare il referendum.
L’inganno di Della Vedova, del Fli e di tutti quelli che pensano di mantenersi la coscienza pulita con il trucchetto di dichiararsi per il «no» è quindi di evidenza solare ed è un ottimo esempio delle piccolezze a cui possa ridurre l’odio politico. Se non siamo allo sparare il riso con la biro come alle elementari poco ci manca: ci domandiamo piuttosto come faccia Ronchi a rimanere pur con tutti i distinguo in un partito che lo prenda così platealmente in giro. Ma gli inganni non finiscono qui: infatti nessuno spiega che il decreto Ronchi si adeguava semplicemente a una direttiva comunitaria che prevede affidamenti con gare aperte e trasparenti per la gestione dei vari servizi, tra i quali quello idrico. Se il referendum dovesse raggiungere il quorum in pratica avremmo tante belle Tirrenia dell’acqua, inefficienti, libere di perdere quanto vogliono con i loro costi allegramente scaricati sulla fiscalità generale, vale a dire sui soliti benefattori che dichiarano fedelmente il loro reddito. Gli evasori brinderanno con un bel bicchiere di acqua del rubinetto pagato dal solito pantalone, che ovviamente pagherà anche le inevitabili sanzioni da parte dell’Unione Europea.
Stendiamo un velo pietoso poi sul secondo quesito relativo all’acqua dato che si trattava di un provvedimento varato dal governo Prodi contro il quale ora, con una faccia tosta degna di ben altra considerazione, si mobilitano quegli stessi che l’hanno votato. Gli altri quesiti sono peggio ancora: il referendum sul nucleare si riferisce ad una legge già abrogata (ed è comprensibile, non si può decidere su argomenti impegnativi per anni sull’onda dell’emozione per un fatto eccezionale) quindi è solo la fantasia delle nostre supreme magistrature che è riuscita a generare il mostro di un quesito per abrogare una cosa che non c’è già più.
Non va meglio con il «legittimo impedimento» dato che si omette di ricordare che la legge oggetto di quesito è già stata modificata, guarda caso, dalla Consulta ma, soprattutto, scadrà in ogni caso ad ottobre di quest’anno trattandosi di un semplice provvedimento-ponte in attesa di un’impantanata legge costituzionale.
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