La Triennale ha ritrovato il suo teatro

L’edificio disegnato da Giovanni Muzio torna alla sua impostazione architettonica e funzionale originaria in nome dell’unità delle arti. Rampello: "Da maggio un programma di workshop, musica e performance"

La Triennale ha ritrovato il suo teatro

di Roberto Borghi

Lo chiamiamo tutti sbrigati­vamente «Triennale», ma il no­me esatto dell'edificio di viale Alemagna 6, a ridosso del Parco Sempione, è Palazzo delle Arti. Quando fu costruito a tempo di record da Giovanni Muzio, tra il 1932 e il 1933, in pieno stile razio­nalista, la sua funzione non con­sisteva solo nel dare una sede sta­bile all'Esposizione Triennale di Arti Decorative, Industriali e Ar­chitettoniche, ma anche nel met­tere in luce i punti di contatto tra tutti i campi artistici, come già avevano fatto, nei due decenni precedenti, le tendenze espressi­ve e le gallerie più avanzate. Nel 1933 - lo stesso anno in cui a Berlino le autorità naziste chiu­devano definitivamente il Bauhaus, il più importante labo­ra­torio interdisciplinare della pri­ma metà del XX secolo - il regime fascista sanciva invece il suo lega­me con le avanguardie, inaugu­rando quello che un critico dell' epoca, Roberto Papini, definì «un organismo vivo», un luogo «in stretta aderenza alla vita» e, proprio per questo, in grado di «sillabare il linguaggio di doma­ni ». Il cuore pulsante del progetto di Muzio era proprio il Teatro dell'Arte, al quale si accedeva scendendo dalle rampe laterali dello scalone del palazzo. Una ri­strutturazione dell'edificio avve­nuta all'inizio degli anni Ottanta separò gli spazi scenici da quelli espositivi. Da ieri, il collegamen­t­o è stato ufficialmente ripristina­to, nell'ambito di un'opera di va­lorizzazione dell'intera struttura che, sotto la regia di Michele De Lucchi, è iniziata con il restauro del Museo del Design, è prosegui­ta con il recupero del cortile pen­sile e pre­vede in seguito numero­si interventi per riportare il palaz­zo al disegno originario.

Il ripristino dell'accesso al Tea­tro dell'Arte attraverso l'ingresso principale dell'edificio non ri­sponde solo a una logica architet­tonica, «ma anche di funzione, di strategie e contenuti», ha dichia­rato Davide Rampello, presiden­te della Triennale di Milano: «Da oggi il Teatro dell'Arte rientra nell'anima intima di Triennale, nel suo programma di attività. Ac­canto alle arti visive contempora­nee, al design, alla grafica, all'ar­chitettura, i linguaggi teatrali sa­ranno a completamento dell'Uni­tà delle Arti». Il grande palco e la platea da 500 posti resteranno in condivisione con il Centro di Ri­cerca per il Teatro, che da più di un decennio vi tiene la sua stagio­ne di prosa: la Triennale si occu­perà invece di organizzare workshop, iniziative musicali e performative. Un primo assag­gio di questa nuova formula si avrà nel mese di maggio, quando il Teatro dell'Arte ospiterà tre concerti di cantanti e di band che contaminano la musica con la narrazione e il linguaggio sceni­co: si inizierà l'11 con «Pasolini, l'incontro» dei Tre Allegri Ragaz­zi Morti, per proseguire il 18 con l'interazione tra Alva Noto - alias Carsten Nicolai, uno dei più fa­mosi artisti visivi europei- e Ryui­chi Sakamoto e concludere il 27 con il recital di Nada. Nel panorama delle istituzioni culturali milanesi, l'ampliamen­to dell'attività della Triennale al campo teatrale ha almeno due conseguenze di rilievo.

Da un la­to conferma il programma che Rampello aveva delineato già all' atto del suo insediamento: far tor­nare l'edificio di viale Alemagna un organismo davvero «in stretta aderenza con la vita» del tempo, secondo la definizione di Papini, ponendolo in sintonia con tutte le tendenze espressive, che oggi più che mai sono tra loro mesco­late. Dall'altro segnala, se mai ve ne fosse bisogno, che a Milano il teatro è il perno del sistema cultu­rale: per questo non se ne può fa­re a meno e, anzi, se ne fa volen­tieri di più.  

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