È iniziata, con impegno, la stagione di Simone Verde agli Uffizi. Ed ecco nuove sistemazioni per i pittori fiamminghi, una sala per i marmi antichi, acquisti prestigiosi. Al secondo piano, intanto, dopo duecento anni riapre, nella sua forma originale, uno dei più preziosi spazi degli Uffizi, dedicati all'antichità classica: il Gabinetto dei marmi, con una straordinaria selezione delle più importanti sculture romane delle collezioni medicee con rilievi incastonati nelle pareti. Rossella Battista ci suggerisce: «Tra le varie opere esposte figurano capolavori come i due rilievi con le vendite di cuscini e di tele provenienti da una tomba dell'Esquilino di età Flavia, la figura di pastore seduto, in origine parte di un ninfeo monumentale di prima età imperiale, o l'accurata riproduzione del tempio di Vesta fiancheggiato dal fico ruminale. Magnetica poi la raffigurazione di Zeus Ammone, divinità sincretistica di età ellenistico romana, che costituiva parte della decorazione scultorea del Foro di Augusto a Roma e che viene ora restituita alla visibilità del pubblico dopo un lungo periodo di permanenza nei depositi; lo splendido torso in basalto verde dello Wadi Hammamat, forse la migliore replica del Doriforo di Policleto giunta fino ad oggi, o lo Spinario, una delle sette copie note di questo singolare tipo scultoreo tardo ellenistico, la cui più celebre replica è oggi conservata ai Musei Capitolini, a Roma. Lo spazio accoglie inoltre alcune sculture da molto tempo non esposte: tra queste la statuetta raffigurante Menandro seduto, una delle sole tre copie note di questo modello iconografico elaborato ad Atene nel III secolo a.C. e il gruppo di Ermafrodito e Pan, vivace composizione di epoca proto imperiale probabilmente creata per la decorazione di un giardino».
Verde è un costruttore, e agli Uffizi, il materiale non manca. E il percorso dei dipinti italiani è una storia dell'arte con i testi fondamentali per capire cosa significhi ogni opera nella sua epoca.
Agli Uffizi non si studia la storia dell'arte, ci si vive dentro e la si trasporta dal passato al presente, nell'incontro e nel dialogo con alcuni assoluti. Più di quanti, nella resistenza delle radici, vi siano in qualunque museo del mondo. Certo il Louvre con il tentativo di raccontare la storia del mondo di Napoleone. Certo El Prado. Certo il Metropolitan di New York .
Ma in nessun museo ci sono, di ogni artista, in ogni secolo, le opere fondamentali, assolute, inevitabili. Le Maestà di Giotto, di Duccio di Buoninsegna, di Cimabue, nella prima sala che ti accoglie, per dirti che Dio esiste. E poi c'è la meraviglia del mondo: l'Annunciazione di Simone Martini. E la leggenda del corteo dei Magi, il più ricco, il più sontuoso, nell'Adorazione di Gentile da Fabriano. E poi il teorema della luce nella pala dei Magnoli di Domenico Veneziano, e la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello e infine la Nascita di Venere e la Primavera, di Botticelli.
Non soltanto capolavori ma opere essenziali, definitive, nelle quali c'è tutta l'anima e tutta la sostanza di ogni pittore. E questo vale ancora per Filippo e Filippino Lippi, e perfino per alcuni cosiddetti minori come Piero Di Cosimo. Agli Uffizi si va per assicurarsi che il genio italiano e la sua creatività non hanno paragone. C'è una protezione della forma, che si mostra in una compiutezza che non consente di desiderare altro.
Quando sei agli Uffizi non vorresti essere altro che qui. E nulla che sia fuori può darti di più.
La prima immagine che non si dimentica ci colpisce nei maestosi spazi, per le sue dimensioni. L'allestimento di Carlo Scarpa mette a confronto le tre Maestà sopracitate, che non potrebbero avere migliore definizione. Al centro quella di Giotto, che acquista potenza nel confronto con le altre due. Non si potrà più dimenticare perché Giotto ha voluto farci sentire la protezione della Madonna con il bambino proprio per la sua grandezza, seduta ed elevata sul trono con una palese collocazione prospettica, una fisicità prorompente che sfonda l'oro e domina sugli angeli intorno, di minori dimensioni. Questa Madonna ci protegge, è lei. È la stessa di Dante, in Paradiso: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio / Umile ed alta più che creatura / Termine fisso d'eterno consiglio / Tu sei colei che l'umana natura / Nobilitasti sì, che il suo fattore / Non disdegnò di farsi sua fattura / Nel ventre tuo si raccese l'amore / Per lo cui caldo ne l'eterna pace / Così è germinato questo fiore / Qui sei a noi meridiana face / Di caritate, e giuso, intra i mortali / Sei di speranza fontana vivace / Donna, sei tanto grande e tanto vali / Che qual vuoi grazia e a te non ricorre / Sua disianza vuol volar sanz'ali».
Da questo cielo, da questa concezione, non è uno scendere sulla terra la Nascita di Venere di Sandro Botticelli. Ancora una presenza divina, tra mare e cielo, l'immagine di una vittoria della ragione sulla natura. Anche in questo caso l'impressione, assoluta, è di imperdibile innocenza, come se vedessimo una donna per la prima volta. Ed è una divinità della vita, che rimanda al nostro primo atto d'amore, che coincide con la sua nascita.
Poco lontano ci attende il Trittico del più innovativo tra i maestri fondatori del Rinascimento: Antonello da Messina. Lo Stato ne acquistò nel 1996 due scomparti, la Madonna maliziosa e seducente e il san Giovanni intraprendente. Il terzo elemento, san Benedetto, severo e solenne, era, smembrato, nei musei civici del Castello Sforzesco di Milano.
Feci io l'accordo tra il presidente della Regione Lombardia, il Ministro dei beni culturali e il direttore degli Uffizi perché, attraverso lo scambio con una Madonna di Vincenzo Foppa, il trittico potesse essere ricomposto. Lo guardo ora nella sua scintillante unità, preziosa acquisizione che arricchisce, con mio orgoglio, gli Uffizi, il museo più ricco e sorprendente. Anche con un nuovo e misterioso Antonello.
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