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Truffe allo Stato e riciclaggio, intascati i fondi per le Pmi

Sequestrati 85 milioni e 25 le misure cautelari Il gruppo criminale ingannava anche le banche

Truffe allo Stato e riciclaggio, intascati i fondi per le Pmi
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Una mega truffa ai danni dello Stato per ottenere finanziamenti, che finivano nelle tasche di una organizzazione criminale. L'ha scoperta la Guardia di finanza nelle indagini coordinate dalla Procura. Sono state emesse 25 misure cautelari, gli indagati totali sono un centinaio, sono stati sequestrati 85 milioni di euro.

Le accuse sono di associazione per delinquere, bancarotta, truffa ai danni dello stato, riciclaggio e autoriciclaggio. Tra gli indagati ci sono imprenditori, commercialisti, un avvocato, un broker finanziario e un ex dipendente di banca. Sono state eseguite 11 misure cautelari in carcere, 13 agli arresti domiciliari e un obbligo di dimora nel comune di residenza. La base dell'organizzazione era a Milano, ma gli indagati agivano in tutta Italia. Al centro dell'inchiesta, partita nel 2019, un complesso sistema di truffe sui finanziamenti garantiti dallo Stato, con il riciclaggio del denaro ricavato in modo illecito.

Il gruppo criminale utilizzava molti prestanome. Le società coinvolte nel meccanismo sono 66 di cui 18 già fallite. Le indagini sono coordinate dai pm Bruna Albertini e Stefano Ammendola della Dda e Maurizio Ascione. Il meccanismo di frode era stato creato nel 2014. Erano state create numerose società commerciali intestate a prestanome ma di fatto gestite dall'associazione. I bilanci venivano sistematicamente falsificati per ottenere da parte di vari istituti bancari l'apertura di linee di credito per la maggior parte garantite dallo Stato attraverso il Fondo per le Piccole e medie imprese. Una volta ottenuti i prestiti, le società per un certo periodo proseguivano la propria attività e rientravano anche in parte dei fidi in modo da poter chiedere in seconda battuta un ulteriore aumento dei prestiti. Ottenuto l'aumento però, le società di comodo si rendevano inadempienti e, esaurita la loro vita utile e accumulati grossi debiti fiscali, venivano fatte fallire e sparivano.

I guadagni poi venivano drenati verso altre società compiacenti, compromettendo la possibilità per gli istituti di credito di recuperare i prestiti. Le banche però, in forza della garanzia pubblica, hanno riversato su Mediocredito centrale l'intero danno patrimoniale subito con la truffa, per un ammontare di circa 25 milioni di euro.

Le risorse finanziarie ottenute dalle banche sono state poi riciclate con due modalità. Da un lato, i fondi sono stati dirottati nell'acquisto di ricariche telefoniche per diversi milioni di euro. Le ricariche venivano rivendute in nero ad altre persone e in questo modo monetizzate.

Parallelamente, i guadagni illeciti venivano trasferiti su conti correnti esteri intestati a società di diritto cinese. Infine queste restituivano le cifre in contanti ai vertici dell'organizzazione. Il flusso di ritorno del denaro riciclato era gestito da cittadini cinesi e agevolato dalla complicità di un funzionario di banca.

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