Turchia, preside impone la distanza minima di sicurezza tra ragazzi e ragazze

Il direttore dell'Istituto superiore per le arti e lo sport di Mersin, ha deciso che studenti e studentesse devono stare ad almeno 45 centimetri gli uni dalle altre. Ha inoltre imposto ingressi e posti mensa separati per maschi e femmine e fatto applicare robuste grate di acciaio per dividere i due dormitori

Il povero Mustafa Kemal detto «Atatürk», cioé «padre dei turchi» si rivolterà nella fossa. Chi avrebbe detto che lo Stato laico lasciato ai suoi concittadini avrebbe avuto una simile deriva integralista. Non bastava che il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, di chiara ispirazione religiosa, prendesse il potere, ora c'è anche chi, nel quadro di una anacronistica restaurazione islamica, tenta di tornare a una rigida separazione tra maschi e femmine. Come ha fatto il preside di una scuola che ha imposto a ragazzi e ragazze una seria di regole prima tra tutte quelle di non avvicinarsi a più di mezzo metro.
Il provvedimento, che promette già grandi polemiche, è stato preso a Mersin, sulla costa mediterranea della Turchia dove il direttore di un Istituto superiore per le arti e lo sport, Nevit Kodalli, ha deciso che studenti e studentesse dovranno stare a una distanza minima di 45 centimetri fra di loro. Una notizia che ha lasciato allibite la stampa, ma anche le istituzioni locali. Il provveditore agli studi di Mersin ha chiesto chiarimenti, tuttavia non ha ancora ricevuto risposta dal direttore scolastico, che si nega anche a studenti e genitori che chiedono delucidazioni sul provvedimento, entrato in vigore da pochi giorni.
Intanto arriva la denuncia degli studenti, che all'emittente Ntv hanno detto: «Abbiamo deciso di frequentare questa scuola per diventare artisti. E ci dividono fra uomini e donne. Persino le mense hanno diviso. Nel dormitorio dell'istituto sono state messe sbarre fra l'area femminile e quella maschile». E le porte prevedono una zona di accesso maschile, a destra, e femminile, a sinistra. I ragazzi si dichiarano «distrutti dal punto di vista psicologico».
Con buona pace di Mustafa Kemal leader del movimento riformatore dei «Giovani Turchi» nato per rinnovare un Paese bloccato da una classe politica immobile e corrotta. Brillante generale durante il primo conflitto mondiale, fu promotore della Grande Assemblea Nazionale di Ankara del 1920. Combattendo gli inglesi prima, sconfiggendo i greci poi, ristabilì l'unità e l'indipendenza della Turchia, quindi nel 1922 depose l'ultimo sultano Maometto VI e l'anno dopo fondò la Repubblica dando vita a una serie di riforme di tipo «occidentale». Abolì il califfato, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, adottò l'alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l'uso del Fez. Per questo fu chiamato Atatürk (Padre dei Turchi) cognome assegnato esclusivamente a lui, con apposito decreto approvato nel 1934 in Parlamento quando venne introdotto (altra innovazione voluta da Kemal) l'uso di regolari cognomi di famiglia come era uso nel mondo occidentale.
Per tutto il Novecento la Turchia venne considerato il più occidentale e laico degli stati a confessione musulmana, con l'esercito rimasto guardiano del rinnovamento voluto dal modernizzatore Atatürk. Fino all'irrompere sulla scena politica di Recep Tayyip Erdogan. Figura di spicco del disciolto Partito del Benessere di ispirazione islamico-conservatore, è divenuto una figura politica di rilevanza nazionale come sindaco di Istanbul per poi diventare nel 2003 presidente del consiglio alla guida del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo. Erdogan ha subito impresso alla vita sociale e culturale del Paese una svolta di tipo religioso.

Incoraggiando di fatto spinte fondamentaliste come quelle del preside di Mersin, che ha voluto imprimere un cambiamento di stampo integralista anche all'educazione scolastica, separando rigidamente maschi e femmine per evitare incontri peccaminosi che potrebbero corrompere la gioventù.

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