Tutti in fuga da Lusi: il Pd gioca a scaricabarile

Il destino di chi a sinistra viene sorpreso con le mani nel sacco è sempre lo stesso: nessuno lo conosce, nessuno sa che ha fatto. "Troppa fretta sull'ok ai bilanci". E i magistrati ascoltano Parisi

Tutti in fuga da Lusi: il Pd gioca a scaricabarile

Luigi Lusi, chi era costui? Il primo politico che ruba al partito, anziché per il partito, è stato a lungo il tesoriere della Margherita e oggi è un senatore del Pd: non proprio un passante, insomma. Eppure se chiedete di lui a largo del Nazareno, dove il Pd ha la sua sede, o nei corridoi del Palazzo, dove grappoli di parlamentari semidisoccupati chiacchierano del più e del meno, in pochi confesseranno di conoscerlo. E se lo ammettono, è per definirlo «un arrogante e un ladro».
Il destino di chi a sinistra viene sorpreso con le mani nel sacco (o più semplicemente viene accusato di aver commesso qualche illecito) è sempre il medesimo: nessuno lo conosce, e a ogni modo non è uno importante, e se lo è ha agito personalmente e nessuno ne sapeva niente. È stato così con Tedesco, ex assessore pugliese alla Sanità eletto senatore; è stato così con Pronzato, ex responsabile dell’aviazione civile per il Pd; è stato così con Penati, ex presidente della Provincia di Milano ed ex braccio destro di Bersani. Non c’è niente da fare: ogni volta che un dirigente democrat finisce in un’inchiesta, il partito si dimentica di lui.
Si tratta, com’è evidente anche ai meno accorti, di una dimenticanza tutta politica, e tutta strumentale. Come se qualcuno credesse davvero che il tesoriere di un partito, che è sempre un uomo di assoluta e personale fiducia del segretario, possa far sparire la bellezza di 13 milioni senza che nessuno se ne accorga. Francesco Rutelli dichiara la propria perfetta buona fede, ma non più tardi del 23 dicembre la Margherita certificò ufficialmente la regolarità dei bilanci 2009-2010 a fronte del ricorso presentato da alcuni deputati, fra cui Carra e Lusetti. Com’è possibile?
E com’è possibile che su una questione così delicata e cruciale come la gestione del bilancio il gruppo dirigente di un partito mostri tanta leggerezza nel (non) controllare con scrupolo i conti? È vero che sono soldi pubblici destinati a un partito che non c’è più (come se non bastasse finanziare i partiti che ci sono), ma smarrire 13 milioni senza rendersene conto supera davvero ogni immaginazione.
Tutta colpa di Lusi, invece. È lui il solo responsabile, la mela marcia, il «caso» da non confondere con il resto, l’eccezione che conferma la regola dell’onestà, della buona amministrazione e della trasparenza. È lui la pecora nera in un gregge immacolato: «Come il boy scout sia diventato uno che prende soldi per sé per comprare delle case è per me una cosa inspiegabile», allarga le braccia Rutelli. E Bersani (che Lusi l’ha ereditato insieme al resto della Margherita, ma senza i soldi) preannuncia giustamente una legge sulla trasparenza dei bilanci dei partiti, ma non riesce, forse per amor di convivenza interna, a dare nessuna spiegazione dell’accaduto se non, appunto, il «caso personale». «Lusi è un arrogante», tuona Gianni Vernetti, che di Rutelli è stato a lungo braccio destro, in un’intervista a Repubblica: «Certo che lo conosco. Io non cado dalle nuvole, mi arrabbio. È una vergogna». Ma quando gli si chiede come sia stato possibile un ammanco del genere, anche l’arrabbiato Vernetti non sa spiccicare parola: «Mancavano i controlli».
Difficile che su questa strada il Pd riesca a convincere il proprio elettorato e l’opinione pubblica, tanto più in un’epoca particolarmente attenta a come i partiti spendono (e trovano) i loro soldi.

La teoria della mela marcia, applicata indistintamente e su scala di massa, perde di credibilità; né si può sbianchettare l’album di famiglia come facevano i sovietici con le foto ufficiali, cancellando i dirigenti in disgrazia. Lusi non ha una «doppia personalità» (Rutelli) e non è un ignoto faccendiere di provincia: è un dirigente politico di uno dei maggiori partiti italiani, e quel partito ha il dovere di dare una risposta politica.

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