Tutti quelli sconfitti dalla tregua

di Vittorio Macioce

Fastidio. La parola giusta è questa. «Vuoi sentire il parere di un peone?», l’uomo senza giacca che si ostina a portare una cravatta stretta al collo in questa Milano torrida è un deputato della maggioranza. È qui praticamente in incognito e osserva con libidine il caffè shakerato freddo che un barman continua ad agitare senza sosta. Qualche volta anche qui, in questa città lontana da ministeri, sottoboschi e transatlantici, capita di parlare di politica. Il peone si è fatto giurare e scongiurare di restare anonimo. «Tanto quello che dico possono confermarlo in tanti». Fastidio. Napolitano, con quelle parole alte e istituzionali, ha rotto il gioco. La tregua per il G8 è un mal di stomaco per tanti. Qualcuno invece si è asciugato il sudore sulla fronte. No, non Berlusconi, ma gente dell’opposizione. Tutto questo fango in giro cominciava a fare paura. Quando si gioca sporco non si sa mai a chi tocca e c’è molta gente che ha una vita privata non all’altezza della moglie di Cesare. E loro, dice il peone, hanno tirato un bel sospiro di sollievo. Altri no, anche nella maggioranza. Fastidio.
La tregua di Napolitano non piace a Repubblica. L’editoriale di Massimo Giannini lo fa capire in poche righe. Il Quirinale getta un velo di sconfitta sulla campagna politica del quotidiano. È la spallata a vuoto, il placcaggio nella polvere. È l’impossibilità di riconoscere a Berlusconi la legittimità democratica a governare. La tregua? Impossibile. Berlusconi è tutto ciò che Repubblica rifiuta, a pelle, in modo viscerale. Non basta Napolitano. E poi è una questione di copie. La tregua non fa vendere e in questi tempi di miseria il fango fa da lievito. È la stessa cosa che pensa la stampa internazionale, questo feticcio metamediatico, che viene invocato come giudice delle vicende italiane, una sorta di ipse dixit, una formula magica dello sputtanamento. Cosa faranno ora Financial Times, Times, Economist, País e tutti i direttori che hanno scoperto l’effetto Berlusconi sulle vendite? Si dovranno accontentare di Ahmadinejad e di Micheletti, l’italiano dell’Honduras. No, è escluso. La guerra civile italiana, combattuta con le parole nel ventilatore, era una ghiottoneria. È un’occasione mancata, ce ne saranno altre. Ma questa è la preoccupazione più superficiale. Napolitano ha paura di altro, del suicidio dell’aristocrazia politica, sempre più isolata dai cittadini, dalla gente, da chi pensa a tirare avanti, da chi guarda alla crisi e al prossimo autunno con un po’ di paura, a chi guarda le macerie dell’Aquila e i treni di Viareggio e si chiede che mestiere fa la D’Addario. Napolitano teme che la guerra civile serva solo a fomentare il populismo radicale e le forze centrifughe del sistema. Il dopo, come sarà il dopo? Cosa accade, dopo, quando la questione «chi deve governare» viene risolta a colpi di gossip? Questa è la paura di Napolitano. Un’Italia instabile, in questo momento storico, è una cambiale che si paga tra vent’anni. E non sempre - dice il peone che si lamenta ancora per il caldo - si può ragionare con la logica del «nel lungo periodo siamo tutti morti».
La tregua di Napolitano frena la strategia politica di Antonio Di Pietro, che quando il clima si raffredda perde il suo ruolo da tribuno della plebe. La tregua toglie l’ultimo orizzonte alla sinistra ormai extraparlamentare di Ferrero e Sgobio. La tregua spegne i giochini di chi vuole governatori in grigio a Palazzo Chigi. La tregua lascia impantanati tutti quelli, Casini, Rutelli, ex democristiani e centristi vari, che sono finiti in un vicolo cieco e ora sperano solo che il mazziere distribuisca una nuova mano di carte. È il partito dell’antibipartitismo, che ha festeggiato il non quorum del referendum e senza Berlusconi sarebbe maggioritario.
Il peone dice: «Hai notato le uscite di Tremonti e Fini?». Sì, il partito si ricompatta. «C’è stato un momento di turbolenza. Ho visto gente forte del partito darsi da fare, tutti in viaggio verso il confine e molte chiacchiere sul dopo Berlusconi. Ora sono tutti ritornati a casa». Felici e contenti? «Non direi. Alcuni mugugnando. Avrai sentito anche tu le voci su un nuovo partito. Qualcuno pensa che FareFuturo stia preparando il futuro di Fini. Ho sentito fantomatici assi Fini, Casini e Tremonti. Ma queste mi sembrano davvero fantascenari. La realtà è che ci si interroga sul dopo Berlusconi, ma i protagonisti si muovono ancora in surplace. A tutti conviene aspettare ancora».

Il peone dice che deve prendere il treno e tornare a Roma. Lui ha fretta. Quelli che sognano il futuro a quanto pare no. C’è tempo. Solo che intanto invecchiano e di tregua in tregua non si fa mai giorno.
Vittorio Macioce

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