Il Var delle molestie e il verdetto su Mariotto

Guillermo Mariotto è al centro di un caso mediatico che ormai non si riesce più a rimettere nell'ampolla del buonsenso, come i venti dell'Olimpo

Il Var delle molestie e il verdetto su Mariotto
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Ormai siamo al Var. Le molestie come il fuorigioco. L'ha toccato? Sì, quasi, questione di millimetri e di una frazione di secondo, ma sufficiente per decretare la gogna. Le foto, anzi la foto parla chiaro: c'è la mano dove non dovrebbe. E vai a sapere se era per scherzo o faceva, perfido e malandrino, sul serio. Vai a sapere se in realtà ha solo sfiorato gli attributi del ballerino oppure se il lussurioso ha afferrato il membro virile. Questione controversa, come certi falli sull'incombere della linea che delimita l'area di rigore.

Guillermo Mariotto è al centro di un caso mediatico che ormai non si riesce più a rimettere nell'ampolla del buonsenso, come i venti dell'Olimpo.

C'è l'immagine e quella basta. Vale per il giurato di Ballando con le stelle, vale come regola di ingaggio nella nostra società malata. Si aggira nel Paese una strana figura, un centauro postmoderno, per metà reporter e per metà giudice. È armato di telefonino o di un apparecchio del genere e questo gli basta per svolgere la sua professione. Con una mano scatta la foto compromettente, con l'altra scrive il testo lungo una manciata di caratteri della condanna che di lì a poco sarà vox populi. Questo cittadino perennemente indignato è sempre a caccia di colpevoli: basta un clic e la star di turno è inchiodata alle sue colpe.

Mariotto può difendersi finché vuole ma il suo destino pare segnato: ha compiuto un gesto inqualificabile e la Rai deve squalificarlo.

Non ci sono, non ci possono essere attenuanti e se qualcuno avanza qualunque dubbi, ecco che subito si punta contro di lui l'indice inquisitore: stai con la lobby gay. Anche se in realtà stai con i fondamentali della civiltà umana.

Nel caso disdicevole di Memo Remigi, vedi pacca sul sedere ad una signorina, l'artista fu spazzato via. E a nulla gli valse l'autocritica in stile cinese e l'ammissione di colpevolezza.

Del resto, a che serve difendersi se il verdetto è un fotogramma. Certo, le immagini abbagliano e qualche volta fatalmente travisano i fatti. Ma è difficilissimo, quasi impossibile opporsi a questa semplificazione del mondo dal buco della serratura. L'origine credo risalga ai verbali della cronaca giudiziaria e al peggior manipulitismo. Poi si è arrivati alle intercettazioni, strumento di rivelazione quasi divina, ora siamo già oltre. Alle foto.

È sufficiente un clic e reputazione e curriculum vanno a farsi benedire.

È una forma sottile di gogna che consegna il malcapitato al dileggio popolare. Altro che intelligenza artificiale in grado di manipolarci. Basta meno: noi obbediamo allo smartphone. E il Var è la nostra povera coscienza.

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