Tra un'orbita e l'altra la vita da romanzo degli astronauti nello spazio infinito

Samantha Harvey narra le ventiquattro ore di un equipaggio sospeso sopra la Terra

Tra un'orbita e l'altra la vita da romanzo degli astronauti nello spazio infinito

Sono in sei: un americano, una giapponese, una inglese, un italiano e due russi. Però non è una barzelletta, perché parliamo di astronauti, o meglio: quattro astronauti e due cosmonauti, secondo un vocabolario da guerra fredda che, lassù nell'universo, non si è mai interrotta. Ruotano in orbita «in una grande H di metallo sospesa sopra la Terra», che poi è una stazione spaziale internazionale «composta da diciassette moduli collegati, a ventottomila chilometri all'ora». A una velocità del genere, in ventiquattro ore compiono sedici giri intorno al nostro pianeta: «sedici albe e sedici tramonti, sedici giorni e sedici notti». Una esistenza Orbital: il loro è un romanzo nello spazio e a scriverlo, come una poesia le cui parole siano tenute insieme da bulloni anziché da rime, è stata l'inglese Samantha Harvey. Il lavoro è valso all'autrice inglese il Booker 2024, il premio più prestigioso dell'editoria anglosassone; che quest'anno ha guardato all'attualità e al futuro, ma anche alla letteratura, perché Orbital (in Italia è pubblicato, con titolo identico all'originale, da NN, pagg. 176, euro 18) è un libro bellissimo, un'idea apparentemente semplice quanto efficace, una prosa che fa fluttuare anche i lettori nella navicella, che fa girare le nostre teste in sintonia con le orbite percorse da quei sei astronauti. Ci porta lassù, ce li fa sentire vicini, ci fa entrare nelle loro menti e perfino nei loro sogni, ci fa fare colazione con loro, ci fa addormentare con loro davanti a un film, quasi quasi come noi sul divano («Galleggiano davanti a un film russo su due cosmonauti che vengono posseduti dagli alieni mentre rientrano sulla Terra. Si passano un pacchetto di mentine. Alla fine del film tutti e sei sono appesi, le braccia dritte davanti a loro, la testa che ciondola; sembrano così placidi nel sonno»), ci fa sollevare i pesi e pedalare sulla cyclette e guardare fuori dai vetri con i loro occhi. Fa sentire anche noi, quaggiù, dei pipistrelli appollaiati nel cosmo, pronti a fare esperimenti sulle cellule cardiache o a passeggiare attaccati a un cavo.

È poi una coincidenza interessante, che Samantha Harvey viva e lavori a Bath (insegna Scrittura creativa all'Università), città che ha ospitato Jane Austen e Mary Shelley, due pilastri della letteratura inglese, dalla tendenza quasi opposta: la prima è stata la grande osservatrice dell'intimità, delle relazioni sociali, della quotidianità, di un mondo di interni (spaziali e personali); la seconda ha guardato al futuro e ai nostri incubi, alle nostre grandi scoperte e al loro lato oscuro. E, fra le pagine di Orbital, Samantha Harvey fa rivivere entrambe le realtà: quella più comune, rappresentata dalla routine dell'equipaggio, dai dialoghi più o meno banali, dai singoli caratteri e dalle piccole storie personali, e quella più legata alla scienza, in cui i protagonisti sono immersi, e senza la quale l'impianto della narrazione non potrebbe nemmeno esistere. È vero che quei sei uomini e donne sono come noi, e che la loro navicella è una casa, e che sono persi e minuscoli nell'universo esattamente come noi, ma sono anche tutt'altro: nessuno di noi «è stato sparato in aria su una bomba di cherosene e poi ha attraversato l'atmosfera in una capsula in fiamme con addosso l'equivalente del peso di due orsi neri» e poi «ha irrigidito il torace per resistere a quella forza finché non ha sentito gli orsi ritrarsi uno dopo l'altro, e il cielo diventare spazio, e la gravità diminuire, e i capelli rizzarsi»...

Allo stesso tempo, Orbital non è un romanzo per fisici o per smanettoni: la tecnologia è al servizio della letteratura, la scienza è ancella delle riflessioni e, su tutto, prevale il racconto, l'esistenza di uomini e donne molto simili a eroi e che però sono solo un «tramite», un mezzo per arrivare sempre altrove, eroi selezionati innanzitutto per la loro impassibilità, la loro capacità sovrumana di mantenere l'equilibrio della psiche, del corpo e anche della navicella. Perché, quando devi vivere galleggiando per nove mesi lassù, riciclando l'aria e la pipì, ripetendo gesti scanditi da acronimi, ti accorgi di una cosa sconcertante: «Tutti i tuoi sogni di avventura, libertà e scoperta culminano nell'aspirazione a diventare un'astronauta, e poi arrivi quassù e sei intrappolata» e il risultato è che «non vai da nessuna parte, giri e rigiri in tondo con gli stessi vecchi pensieri che girano in tondo insieme a te». E, anche se ciascuno rispetta lo spazio e la privacy altrui, gli astronauti lassù si fondono, diventano tutt'uno, non solo fra loro, ma con l'astronave stessa: Anton è il cuore, Pietro la mente, Roman le mani, Shaun l'anima, Chie la coscienza e Nell il respiro. La stazione spaziale è la loro vita, e non c'è confine, o guerra fredda che tenga.

Tutti hanno una sola madre: la Terra. La osservano, la ammirano, si commuovono, si preoccupano, la studiano, «la guardano dormire e svegliarsi e si perdono nelle sue abitudini». Insieme a loro, i lettori si immergono in visioni meravigliose, aurore boreali, tifoni, buio, neve, acqua, le luci delle città che sono le uniche tracce umane, catene montuose, la Russia estrema, l'Africa, la Luna che li accompagna sempre... Una successione infinita in cui «lo spazio fa a pezzi il tempo», perché «un giorno è fatto di cinque continenti, di autunno e primavera, di ghiacciai e deserti, di natura selvaggia e zone di guerra», e allora lo spettatore si perde come davanti a Las Meninas di Velázquez, cercando di capire che cosa sia davvero al centro del quadro.

Ma anche lassù, mentre girano su loro stessi e ogni riferimento

è perso, basta abbassare lo sguardo per scorgere un'àncora di salvezza: «La Terra è la risposta a tutte le domande... La Terra è una madre che aspetta il ritorno dei suoi figli, pieni di storie, di estasi, di nostalgia».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica