Varese, il feudo padano: sicurezza e meno tasse

Nella provincia simbolo, la Lega si dovrebbe assicurare cinque seggi tra Camera e Senato. Ma la base avverte: stavolta vogliamo garanzie sul federalismo fiscale

nostro inviato a Varese

A Varese la Lega ha già vinto. Parola del quotidiano La Provincia, che due giorni fa ha anticipato i risultati delle elezioni politiche: cinque seggi sicuri tra Camera e Senato, più altri tre al Popolo della libertà. Il centrodestra potrebbe toccare il 70% delle preferenze. Ma non è un voto tranquillo, perché il malessere è diffuso. «Questa è l’ultima volta che proviamo a portare a casa il federalismo passando per Roma», afferma con grinta il 23enne Marco Pinti, segretario provinciale dei giovani padani.
Certo, nessuno propone la secessione e anche un certo folklore sembra tramontato, perlomeno nei grandi centri urbani. Ma sebbene in apparenza più pacato, l’animo del popolo leghista è in subbuglio.
Le immagini dell’immondizia di Napoli, lo schiaffo di Malpensa, l’immigrazione fuori controllo, hanno accentuato la frattura identitaria, anche tra gli elettori che tradizionalmente non sono leghisti. Varese si sente sfruttata dal fisco, oppressa dalle leggi, abbandonata dalle istituzioni. E non ha più pazienza. Vuole risultati concreti e li vuole subito, a partire dal tema più sentito: la sicurezza. Sebbene, statistiche alla mano, la criminalità sia bassa rispetto al resto d’Italia, aumentano furti, rapine, scippi. E tanti fastidi legati all’immigrazione: i lavavetri, gli invalidi dell’Est che chiedono l’elemosina, gli extracomunitari che la notte bivaccano nelle piazze, anche del centro, convalidando l’impressione di un crescente degrado. Sotto accusa finiscono gli immigrati clandestini e gli albanesi e i romeni. «Urgono interventi energici - spiega Fabio Binelli, segretario cittadino del Carroccio Varese - considerato che a livello nazionale si combina poco, la gente vorrebbe che venissero concessi maggiori poteri al sindaco e alle forze dell’ordine locali». Solo controllando il territorio è possibile arginare un fenomeno che sembra essere sfuggito a Roma e all’Unione europea. La lezione di Cittadella, il piccolo comune veneto ribelle, qui non è passata inosservata.
E il territorio caratterizza l’altro tema forte, il federalismo fiscale, in cima al programma elettorale dei cinque sicuri parlamentari: Umberto Bossi, Giancarlo Giorgetti, Roberto Maroni, Giuseppe Leoni e Marco Reguzzoni, che solo otto mesi fa era stato confermato trionfalmente alla presidenza della Provincia e che si è dimesso per approdare a Montecitorio, creando scompiglio nel partito. Ma Bossi ha voluto così e qui il capo non si discute.
«Solo l’otto per cento delle imposte versate da Varese resta nelle casse delle amministrazioni locali; è un assurdità che non siamo più disposti a tollerare», dichiara Gianluigi Lazzarini, uno dei militanti storici del Carroccio cittadino, mentre «la Sicilia, regione autonoma, trattiene il 100% del gettito e riceve aiuti dallo Stato».
Insomma, i comuni, sebbene nominalmente ricchissimi, dispongono di risorse insufficienti. E i ritardi si accumulano. «In una regione dove c’è un imprenditore ogni otto abitanti, le infrastrutture sono ferme a trent’anni fa», precisa Giorgio Gandola, direttore della Provincia. L’autostrada per Milano è sempre intasata, i treni per pendolari forniscono prestazioni ridicole; le strade provinciali sono strette e inadeguate. Ma non si fa nulla.
«Produciamo reddito e poi lo Stato ci trascura», afferma Donato Castiglioni, responsabile organizzativo provinciale del Carroccio, che cita Malpensa. «Un grande aeroporto internazionale è fondamentale per lo sviluppo della regione, ma a Roma questo non importa». La rabbia cresce: non arrivano gli investimenti pubblici e si svalutano le strutture esistenti. I consensi per la Lega aumentano, in particolare a Busto Arsizio e a Gallarate, i centri più colpiti dalla probabile perdita di centinaia di posti all’aeroporto.
Pesa il confronto con il confinante Canton Ticino, dove tutto sembra funzionare a meraviglia.

«Perché loro sì e noi no?», si chiedono i militanti leghisti a due passi dalla sede storica di piazza Podestà, nel centro di Varese, dove Bossi fondò la Lega. Federalismo subito, è la parola d’ordine per le elezioni. Come prima, come sempre.

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