Un documento (o meglio, tre documenti) destinato a terremotare la Chiesa a ridosso dell’inizio della prima sessione del Sinodo sulla sinodalità.
Sette anni dopo quelli formulati sui punti più discussi dell'esortazione apostolica Amoris laetitia relativi all’accesso alla comunione dei divorziati risposati, ritornano i dubia. Questa volta sulla scrivania di Francesco sono arrivati cinque quesiti su temi sollevati dalle dichiarazioni di diversi vescovi e cardinali in vista della celebrazione del Sinodo che si aprirà il 4 ottobre.
Se il numero delle domande al Papa resta lo stesso del 2016, a cambiare è quello dei cardinali firmatari: non ci sono più Joachim Meisner e Carlo Caffarra, nel frattempo deceduti, ma restano i nomi di Walter Brandmüller e di Raymond Leo Burke. Oltre al porporato tedesco e a quello statunitense, i nuovi dubia portano la firma dell'arcivescovo emerito di Guadalajara, il messicano Juan Sandoval Íñiguez, del prefetto emerito del dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, il guineano Robert Sarah e del vescovo emerito di Hong Kong, il cinese Joseph Zen Ze-kiun.
A spiegare i motivi di quest’iniziativa sono stati gli stessi cardinali in una lettera ai fedeli che chi scrive ha potuto visionare e in cui si presenta il documento contenente i quesiti, poi riformulati in un secondo momento. il Giornale, insieme ad altri organi specializzati, pubblica in anteprima i contenuti della lettera ai fedeli, dei dubia inviati al Papa l’11 luglio e dei dubia riformulati il 22 luglio e spediti a Santa Marta il 21 agosto.
La decisione di pubblicare i dubia spiegata ai fedeli
Nella lettera ai fedeli, i firmatari scrivono:
“Noi, membri del Sacro Collegio Cardinalizio avendo presente il dovere di tutti i fedeli ‘di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa’ (can. 212 § 3) e, soprattutto, avendo presente la responsabilità dei Cardinali che ‘assistono il Romano Pontefice … come singoli … nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale’ (can. 349), considerate varie dichiarazioni di alcuni alti Prelati inerenti alla celebrazione del prossimo Sinodo dei Vescovi, palesemente contrarie alla costante dottrina e disciplina della Chiesa, e che hanno generato e continuano a generare tra i fedeli e in altre persone di buona volontà grande confusione e la caduta in errore, abbiamo manifestato la nostra profondissima preoccupazione al Romano Pontefice”.
I cinque porporati svelano nel testo che con una “lettera del 10 luglio 2023 abbiamo sottomesso a Papa Francesco cinque dubia” rivelando che “Papa Francesco ci ha risposto con lettera dell’11 luglio 2023”. Dunque, a differenza di sette anni fa, questa volta il Pontefice non ha ignorato l’iniziativa, ma ha sentito il bisogno di rispondere. Tuttavia, la replica di Bergoglio non è stata ritenuta soddisfacente dai promotori. Rivolgendosi ai fedeli, i cardinali hanno dato la loro motivazione:
“Avendo studiato detta lettera, che non ha seguito la prassi dei responsa ad dubia [risposte a domande], abbiamo riformulato i dubia per suscitare una risposta chiara, basata sulla perenne dottrina e disciplina della Chiesa. Con la nostra lettera del 21 agosto 2023, noi abbiamo sottomesso al Romano Pontefice i riformulati dubia (…). Finora non abbiamo ricevuto risposta”.
La risposta (giudicata non esaustiva) del Papa
Francesco, quindi, ha risposto ai primi dubia ma ha – almeno finora – lasciato cadere la seconda versione, riformulata per ottenere, evidentemente, chiarimenti non equivocabili per i cinque quesiti. Per questi motivi, “data la gravità della materia dei dubia, specialmente in vista della predetta imminente sessione del Sinodo dei Vescovi”, scrivono nella lettera ai fedeli, i cardinali hanno giudicato loro “dovere informare Voi fedeli (can. 212 § 3), affinché non siate soggetti a confusione, errore e scoraggiamento, invitandovi a pregare per la Chiesa universale e, in particolare, per il Romano Pontefice, perché il Vangelo sia insegnato sempre più chiaramente e seguito sempre più fedelmente”.
Nella lettera del 22 luglio, Brandmüller, Burke, Sandoval, Sarah e Zen scrivono rispettosamente ma sinceramente al Papa che le sue risposte dell’11 luglio “non hanno risolto i dubbi che avevamo sollevato, ma li hanno semmai approfonditi”. Non ritenendo esaustiva la replica papale – che resta inedita – i cardinali sentono il dovere di riproporre le domande “in modo che ad esse si possa rispondere con un semplice ‘sì’ o ‘no’”. L’esigenza di una parola chiara non fraintendibile viene presentata in particolare “in vista dell'imminente Sinodo, che molti vogliono utilizzare per negare la dottrina cattolica proprio sulle questioni su cui vertono i nostri dubia”, scrivono i porporati.
Primo quesito
Nei dubia – che il Giornale di seguito rivela – viene chiesto al Papa se “è possibile che la Chiesa insegni oggi dottrine contrarie a quelle che in precedenza ha insegnato in materia di fede e di morale, sia da parte del Papa ex cathedra, sia nelle definizioni di un Concilio ecumenico, sia nel magistero ordinario universale dei vescovi sparsi nel mondo”. La domanda scaturisce dalla consapevolezza che oggigiorno “molti cristiani, compresi pastori e teologi, sostengono oggi che i cambiamenti culturali e antropologici del nostro tempo dovrebbero spingere la Chiesa a insegnare il contrario di ciò che ha sempre insegnato”.
Il riferimento, come si legge anche nella prima lettera del 10 luglio, è proprio alle dichiarazioni di alcuni vescovi favorevoli ad una reinterpretazione degli insegnamenti della Chiesa alla luce dei cambiamenti culturali. Nei testi dei firmatari non ci sono esempi specifici ma a questa categoria potrebbero essere ricondotte le affermazioni fatte – e non smentite - dal cardinale Jean Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, che ha auspicato “una revisione fondamentale della dottrina” ritenendo “non più vero” quello che ha chiamato “il fondamento sociologico-scientifico” dell’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità.
Secondo quesito
Proprio la questione delle coppie omosessuali è al centro del secondo quesito che, riferendosi alla risposta del Papa dell’11 luglio, si apre così:
“Vostra Santità ha insistito sul fatto che non ci può essere confusione tra il matrimonio e altri tipi di unioni di natura sessuale e che, pertanto, qualsiasi rito o benedizione sacramentale di coppie omosessuali, che darebbero luogo a tale confusione, dovrebbero essere evitati. La nostra preoccupazione, tuttavia, è un’altra: siamo preoccupati che la benedizione di coppie omosessuali possa creare in ogni caso confusione, non solo in quanto possa farle sembrare analoghe al matrimonio, ma anche in quanto gli atti omosessuali verrebbero presentati praticamente come un bene, o almeno come il bene possibile che Dio chiede alle persone nel loro cammino verso di Lui”.
Questa premessa introduce un doppio dubium che cerca di mettere il Papa nella condizione di dire una parola definitiva sul tema delle benedizioni delle coppie omosessuali che ha spaccato la comunità cattolica in Germania. “È possibile che in alcune circostanze un pastore possa benedire unioni tra persone omosessuali, lasciando così intendere che il comportamento omosessuale in quanto tale non sarebbe contrario alla legge di Dio e al cammino della persona verso Dio?”, chiedono i cardinali. Ma non è finita perché i cinque firmatari chiedono a Francesco:
“Continua ad essere valido l’insegnamento sostenuto dal magistero ordinario universale, secondo cui ogni atto sessuale fuori del matrimonio, e in particolare gli atti omosessuali, costituisce un peccato oggettivamente grave contro la legge di Dio, indipendentemente dalle circostanze in cui si realizzi e dall’intenzione con cui si compia?”.
Questo dubium è di grande attualità alla luce della situazione tedesca ma anche per le voci circolate dopo la pubblicazione del responsum della Congregazione per la dottrina della fede nel 2021 con il quale l’ex Sant’Uffizio aveva risposto negativamente alla domanda circa la possibilità della Chiesa di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso. Poco dopo l’uscita di quel documento – a cui il Papa aveva dato il suo assenso – c’erano stati rumor a proposito di un ripensamento di Francesco di fronte alle reazioni negative di una parte dell’opinione pubblica. Pochi mesi più tardi il mistero era stato alimentato dall’allontanamento dall’attuale dicastero per la dottrina della fede del segretario nonché estensore del documento, monsignor Giacomo Morandi, ora vescovo di Reggio Emilia-Guastalla.
Terzo quesito
Il Sinodo è protagonista del terzo quesito. Sinodalità è la parola chiave del pontificato di Francesco che all’argomento, oltre all’assise di ottobre, ha dedicato nel 2018 la costituzione apostolica Episcopalis communio che ha messo le basi per la recente partecipazione dei non vescovi all’istituzione che Paolo VI volle dopo il Concilio Vaticano II come Sinodo dei vescovi. Brandmüller, Burke, Sandoval, Sarah e Zen obiettano al Papa:
“Oggi si sta presentando il futuro Sinodo sulla ‘sinodalità’ come se, in comunione con il Papa, esso rappresentasse la Suprema Autorità della Chiesa. Tuttavia, il Sinodo dei Vescovi è un organo consultivo del Papa, non rappresenta il collegio episcopale e non può dirimere le questioni in esso trattate né emanare decreti su di esse, a meno che, in casi determinati, il Romano Pontefice, cui spetta ratificare le decisioni del Sinodo, non gli abbia espressamente concesso potestà deliberativa”.
I temi entrati nell’Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo sembrano toccare il cuore stesso della dottrina della Chiesa. Per questo i cinque cardinali concludono che “non coinvolgere il collegio episcopale in questioni come quelle che il prossimo Sinodo intende sollevare, le quali toccano la costituzione stessa della Chiesa, andrebbe proprio contro la radice di quella sinodalità, che si afferma di voler promuovere”. Un’osservazione che li porta a chiedere “se la sinodalità può essere criterio regolativo supremo del governo permanente della Chiesa senza stravolgere il suo assetto costitutivo voluto dal suo Fondatore”. Ovvero Cristo.
Quarto quesito
La quarta domanda, ancora una volta, si basa sulle dichiarazioni non smentite né condannate di alcuni prelati sostenitori di quella che – nella lettera del 10 luglio – viene chiamata la “’teoria che la teologia della Chiesa è cambiata’ e quindi che l’ordinazione sacerdotale possa essere conferita alle donne”. Nella seconda lettera, i cardinali ritornano sull’argomento accennando alla risposta ricevuta dal Papa che deve averli rassicurati sul fatto che “la decisione di San Giovanni Paolo II in Ordinatio sacerdotalis è da tenersi in modo definitivo” oltre ad aggiungere – “giustamente”, evidenziano i cinque porporati - che “è necessario comprendere il sacerdozio, non in termini di potere, ma in termini di servizio, per capire rettamente la decisione di nostro Signore di riservare gli ordini sacri soltanto agli uomini”.
Questo però non basta a fugare i dubbi dei firmatari sull’ultimo punto della risposta papale nel quale – scrivono i cardinali – si affermerebbe che “la questione può ancora essere approfondita”. Quindi, nella sua replica Francesco non avrebbe chiuso del tutto le porte ad un’istanza sentita nel mondo ultra-progressista della Chiesa. “Siamo preoccupati – scrivono i cardinali il 22 luglio - che qualcuno possa interpretare quest’affermazione nel senso che la questione non è ancora stata decisa in modo definitivo”. Nella replica, i cinque membri del sacro collegio si appellano a Giovanni Paolo II e a Joseph Ratzinger laddove scrivono che ‘no’ al sacerdozio femminile contenuto in Ordinatio sacerdotalis “appartiene al deposito della fede” anche perché “questa è stata la risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium sollevato riguardo alla lettera apostolica, e questa risposta fu approvata dallo stesso Giovanni Paolo II”. Un’argomentazione che li porta a riformulare in maniera più diretta il quesito chiedendo se “la Chiesa potrebbe in futuro avere la facoltà di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne, contraddicendo così che la riserva esclusiva di questo sacramento ai battezzati di sesso maschile appartenga alla sostanza stessa del Sacramento dell'Ordine, che la Chiesa non può cambiare?”
L’ultimo quesito
Il quinto ed ultimo dubium affronta il tema della confessione e chiama in causa direttamente quello che – nella lettera del 10 luglio – viene chiamato “l’insistere del Santo Padre sul dovere di assolvere tutti e sempre, per cui il pentimento non sarebbe condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale”. Il Papa, fanno sapere Brandmüller, Burke, Sandoval, Sarah e Zen nella lettera dell'11 luglio, avrebbe confermato “l'insegnamento del Concilio di Trento secondo cui la validità dell'assoluzione sacramentale richiede il pentimento del peccatore, che include il proposito di non peccare di nuovo” ma al tempo stesso li avrebbe invitati a “non dubitare dell'infinita misericordia di Dio”.
Poi i cinque cardinali esprimono a Bergoglio il timore che “qualcuno potrebbe interpretare la Vostra risposta come se il solo fatto di avvicinarsi alla confessione sia una condizione sufficiente per ricevere l'assoluzione, in quanto potrebbe includere implicitamente la confessione dei peccati e il pentimento”. Alla luce di ciò, sentono il dovere di richiedere se “può ricevere validamente l'assoluzione sacramentale un penitente che, pur ammettendo un peccato, si rifiutasse di fare, in qualunque modo, il proposito di non commetterlo di nuovo”.
Il Sinodo non preoccupa solo i firmatari
Non avendo ricevuto risposta alla seconda lettera inviata ad agosto, i cinque porporati hanno sentito il bisogno di scrivere quella che hanno chiamato una “notifica ai fedeli laici sui dubia sottomessi a Papa Francesco”. In essa si trova la spiegazione della decisione di reiterare l’invio dei quesiti nonostante la risposta dell’11 luglio del Papa. Non erano in discussione i contenuti delle risposte in sé – alcune delle quali, però, sembrano aver sollevato in determinati punti delle perplessità – ma la loro mancata formulazione in modalità di responsa ad dubia che avrebbe dovuto richiedere, come si legge nella lettera di luglio, “un semplice ‘sì’ o ‘no’”. I cardinali hanno voluto rimarcare che il dubium non è una generica domanda ma uno strumento giuridico (come precisato in questo commento specialistico su Scuola Ecclesia Mater).
L’iniziativa di Brandmüller, Burke, Sandoval, Sarah e Zen rende esplicita l’esistenza ai massimi livelli di una forte preoccupazione per ciò che potrebbe avvenire nell’imminente Sinodo sulla sinodalità. Un sentimento a cui molto probabilmente non sono estranei altri membri del sacro collegio e nemmeno diversi padri sinodali che attualmente si trovano in ritiro spirituale a Sacrofano. Si vedrà nei prossimi giorni – forse nelle prossime ore – l’impatto che la pubblicazione dei dubia avrà sul dibattito ecclesiale che, come avevamo anticipato, appare infuocato come non mai.
Intanto, domani parlerà pubblicamente uno dei firmatari e lo farà proprio a proposito dell’evento all’origine dei cinque quesiti: il cardinale Raymond Leo Burke, infatti, è atteso al teatro Ghione di Roma per un convegno dedicato a “La Babele sinodale” organizzato da La Nuova Bussola Quotidiana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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