Il Papa si fa le leggi da solo (ma non convince gli esperti)

Al Sinodo la richiesta di cambiare il diritto canonico, in linea con la rivoluzione legislativa di Francesco. Ma non piace a tutti

Il Papa si fa le leggi da solo (ma non convince gli esperti)

Nel Sinodo che si chiude oggi, in attesa della sessione conclusiva del prossimo anno, uno degli argomenti affrontati è stato quello relativo ad una revisione del diritto canonico. Le questioni più mediatiche come benedizioni delle coppie omosessuali e diaconato femminile hanno messo in ombra tutto il resto, ma la richiesta di modificare ulteriormente il codice manifestata da qualche padre sinodale è in realtà una parte non secondaria del progetto di rivoluzione della Chiesa sostenuto da chi ha fatto suo il motto del cardinale Carlo Maria Martini: "la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni".

Più potere ai laici?

Bisogna ricordare che il codice di diritto canonico è il principale testo legislativo della Chiesa e contiene, come ricordò Giovanni Paolo II nel 1983, "gli elementi fondamentali della struttura gerarchica e organica della Chiesa quali furono stabiliti dal suo Fondatore divino oppure sono radicati nella tradizione apostolica". Una sua revisione, quindi, potrebbe puntare a cambiare l'assetto costitutivo di cui si è parlato spesso recentemente alla luce dell'allargamento ai laici (selezionati dal Papa) del diritto di voto al Sinodo. Proprio su questo verteva, peraltro il secondo quesito dei dubia presentati a Francesco dai cardinali Walter Brandmüller, Raymond Burke, Juan Sandoval Íñiguez, Robert Sarah e Joseph Zen. L'obiettivo dichiarato di modificare il codice dovrebbe portare ad un'ulteriore istituzionalizzazione di quell'ingresso dei laici alle funzioni di governo della Chiesa universale di cui il Sinodo sulla sinodalità è un'anticipazione? Magari arrivando ad un superamento della natura episcopale dell'assemblea istituita da Paolo VI? Il sinodo dei vescovi per come lo conosciamo, infatti, è disciplinato proprio dal codice di diritto canonico del 1983, promulgato in sostituzione di quello del 1917 e frutto dell'insegnamento del Concilio Vaticano II. Una revisione di quel testo, è il timore di molti, potrebbe far correre il rischio di allontanarsi dalla Chiesa voluta dai padri conciliari.

Il Papa legislatore

In quasi undici anni di pontificato, Francesco ha dimostrato un certo interventismo legislativo. A colpi di motu proprio è intervenuto ripetutamente in materia di diritto canonico e di diritto vaticano. Questa settimana l'Ambasciata di Francia presso la Santa Sede ha ospitato una tavola rotonda organizzata dall'Institut français - Centre culturel Saint-Louis proprio su questo tema: "Francesco legislatore: Diritto canonico e diritto dello Stato della Città del Vaticano", il titolo dell'iniziativa condotta da Cyprien Viet, giornalista di I-Media. I due relatori sono stati monsignor Patrick Valdrini e Maria d'Arienzo, docenti rispettivamente della Pontificia Università Lateranense e dell'Università degli Studi di Napoli Federico II.

Il convegno

Monsignor Valdrini ha evidenziato la portata del Sinodo spiegando che potrebbe diventare legislativo se il Papa gli conferisse il potere deliberativo, così come ammesso dalla Costituzione Apostolica “Episcopalis Communio” con cui Francesco ha modificato la norma originaria del codice di diritto canonico. Valdrini ha paragonato la concezione della legge che traspare dalla produzione normativa di Bergoglio alla filosofia del gesuita Francisco Suàrez in base a cui l'interpretazione giuridica delle leggi ha un filo diretto con la determinazione della volontà del legislatore. Nel suo intervento, la professoressa d’Arienzo ha ripercorso i numerosi provvedimenti legislativi di Francesco, in particolare sulla disciplina penale relativa all'ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Sulla nuova Legge Fondamentale dello Stato con cui Francesco ha mandato in soffitta quella del 2000 di Giovanni Paolo II, d'Arienzo ha evidenziato le perplessità che scaturiscono dalla possibile confusione tra gli ambiti operativi sul piano internazionale di Governatorato e Segreteria di Stato e soprattutto dall'incipit del preambolo dove si fa risalire direttamente al munus petrino i "poteri sovrani anche sullo Stato della Città del Vaticano" con l'effetto di sottolineare la natura strumentale del potere temporale a quello spirituale.

Più leggi, meno spazio all'organismo competente

Non sono le uniche perplessità suscitate tra gli esperti dall'abbondante produzione legislativa di Francesco. Geraldina Boni, in un volume dedicato proprio a questo tema, ha scritto che "la scienza canonistica, dinanzi a questa stagione riformistica, estremamente estesa e variegata oltre che non priva di incertezze e qualche conflittualità, è apparsa in generale disorientata se non sconcertata" contestando una certa tendenza agli "slogans fantasiosi, le immagini suggestive, gli scenografici cambiamenti di stile" a cui, invece, andrebbe opposto "un diritto accuratamente elaborato".

Nel suo "La recente attività normativa ecclesiale: finis terrae per lo ius canonicum?", la giurista dell'Università di Bologna ha anche invitato a riflettere sul paradosso che vede l'aumento esponenziale della produzione normativa andare di pari passo con la marginalizzazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Come a dire che il Papa legislatore fa tutto da solo, col supporto dei suoi fedelissimi e non del dicastero competente. Sarà così anche per un'eventuale revisione del codice di diritto canonico?

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