La sofferenza di Giovanni Paolo II per la sorte di Emanuela Orlandi

Il Papa polacco fece ben otto appelli per il ritorno della ragazza scomparsa nel 1983 e rimase sempre vicino alla famiglia

La sofferenza di Giovanni Paolo II per la sorte di Emanuela Orlandi

La settimana appena trascorsa, con le polemiche relative alle insinuazioni su un collegamento tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e Giovanni Paolo II, ci ha riportato indietro nel tempo.

Era un mercoledì, quel 22 giugno 1983 in cui della ragazza residente in Vaticano, dopo un ultimo avvistamento di alcune compagne di scuola di musica in Corso Rinascimento, a Roma, non si seppe più nulla. Sarebbe dovuta tornare a casa con la sorella Cristina con cui aveva appuntamento e che oltrepassò porta sant'Anna da sola quella sera. L'angoscia di quei primi minuti non se n'è andata nei familiari che hanno continuato a cercarla e a sperare in un suo ritorno. Il padre Ercole, impiegato della prefettura della Casa Pontificia, è morto nel 2004 e fino ad allora aveva continuato a tenere la chiave di casa nella serratura in attesa del ritorno della figlia.

Mistero vaticano

All'inizio delle ricerche, la residenza nello Stato più piccolo del mondo non sembrò un fattore determinante. Lo dimostra la reazione di uno dei primi telefonisti che chiamarono a casa Orlandi dicendo di aver visto una ragazza somigliante ad Emanuela a Campo de Fiori: all'invito dello zio Mario Meneguzzi, incaricato dalla famiglia di raccogliere le segnalazioni, di vedersi in Vaticano, rispose con sorpresa "in Vaticano? ma lei è un prete?".

Le cose cambiano, quindi, con l'appello fatto da Giovanni Paolo II al termine dell'Angelus di domenica 3 luglio 1983 nel quale espresse la sua vicinanza per "le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso". Il Papa, che nei giorni della scomparsa si trovava in Polonia per una storica apostolica con una delegazione formata anche dal segretetario di Stato, il cardinale Agostino Casaroli e da padre Romeo Panciroli, direttore della Sala stampa della Santa Sede, fece sapere al mondo il suo interessamento per la sorte della figlia di un dipendente dello Stato di cui era sovrano.

La pista internazionale

Dopo il primo appello del Papa, arrivò in sala stampa della Santa Sede una telefonata di un anonimo che parlava con un accento forzatamente anglosassone - e per questo giornalisticamente ribattezzato "l'amerikano" dopo un commento descrittivo di Meneguzzi - e che si presentò come appartenente ad un'organizzazione che aveva rapito la ragazza, chiedendo in cambio della sua liberazione il rilascio di Alì Agca, l'attentatore di Wojtyla. La stessa persona, poi, chiamò anche a casa Orlandi facendo ascoltare la registrazione di una voce presentata come quella di Emanuela. Queste telefonate, successive al primo appello all'Angelus di Giovanni Paolo II, segnarono l'inizio della pista legata all'intrigo internazionale che poi non trovò ulteriori conferme.

Gli appelli

Dopo quel primo appello, Giovanni Paolo II fece altri sette appelli pubblici. La Santa Sede, come ammesso nella nota del 2012 sul caso redatta dall'allora direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, credette alla pista del terrorismo internazionale. Nel documento, che rappresenta l'epilogo di una sorta di consultazione fatta durante il pontificato di Benedetto XVI di tutti gli elementi e le testimonianze sul caso in mani vaticane, "le autorità vaticane condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa". Il tempo, però, svuotò d'efficacia quest'ipotesi e nessuno dei telefonisti dimostrò mai con prove certe che Emanuela fosse viva.

La vicinanza

Giovanni Paolo II è sempre rimasto vicino alla famiglia Orlandi. Il giorno della vigilia di Natale del 1983, il primo senza Emanuela, si recò nella loro casa di via sant'Egidio dove ancora oggi vive la madre, la signora Maria Pezzano. Una vicinanza che quest'ultima non aveva dimenticato, come dimostra la sua partecipazione sul sagrato della Basilica di San Pietro alla cerimonia di beatificazione del Papa polacco, nel 2011. "Non potevo mancare", spiegò la signora al Corriere della Sera rivelando il "legame speciale" con la figura di Wojtyla.

"Ci è stato vicino quando era in vita e adesso da lassù, da beato, spero possa fare il miracolo, regalarmi la gioia di riabbracciare mia figlia", osservò Maria Pezzano. Purtroppo però quel miracolo non c'è ancora stato e la sorte di Emanuela continua, quaranta anni dopo, a rimanere ignota.

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