Ruggero Zangrandi nel 1966 pubblica un sintetico ritratto di Benito Mussolini. Zangrandi, nato nel 1915, aveva fatto parte della nidiata dei «giovani fascisti» intellettuali. Nel 1939 pubblica un libello propagandistico dedicato al comunismo nella guerra di Spagna. Nel dopoguerra passa alla parte opposta. In apertura del profilo di Mussolini, antifascista ma non astioso, Zangrandi osserva come a distanza di un ventennio dalla scomparsa, la figura del fondatore del fascismo continua a suscitare malumori, rancori, divisioni, mancanza di equilibrio nel giudizio. Sembra parlare dell'«operazione mediatica» M (romanzi/serie televisiva) di Antonio Scurati, che riporta il dibattito su Mussolini alla metà degli anni Settanta del Novecento.
Fino ad allora l'interpretazione del fascismo si era sviluppata in tre direzioni. La prima, dovuta a Benedetto Croce. Il fascismo doveva considerarsi una «parentesi» nella storia d'Italia, un «malattia morale» esplosa violentemente. La seconda, dovuta a Piero Gobetti. Il fascismo era stato l'«autobiografia della nazione», esito anch'esso violento della diversità e arretratezza italiana rispetto al contesto europeo. La terza, dovuta al combinato disposto Antonio Gramsci/Palmiro Togliatti.
L'avanzata del movimento operaio aveva scatenato l'irruzione di forze reazionarie, impegnate, attraverso la violenza, ad attuare un progetto politico di regressione della modernità. Semplificando al massimo, la violenza aveva consentito la vittoria del fascismo. Senza di essa mai e poi mai Mussolini sarebbe riuscito a prendere il potere. Alla metà degli anni Settanta queste tre interpretazioni dominanti (comprensibili ma non condivisibili) vennero superate da studiosi di diverso orientamento e disciplina: Renzo De Felice, George L. Mosse, James A. Gregor, Augusto Del Noce, Ernst Nolte, Emilio Gentile, Francesco Perfetti.
La violenza che c'era stata, oggettivamente, importante ma non decisiva nell'avvento del fascismo veniva collocata in un contesto più ampio e articolato, per comprendere quanto era accaduto in Italia dal 1915 al 1925 (dall'entrata nella Grande Guerra all'instaurazione della dittatura). Allo spettatore di M viene indicata una sola certezza. Il protagonista Mussolini è la violenza elevata alla massima potenza. Il monologo conclusivo, a ridosso della vittoria totale, riassume questo assunto: «Il fascismo è violenza. È dominio della forza. È la volontà dei pochi che s'impone. È sopraffazione. È arbitrio. È la legge del più forte. È odio. È eccitazione delle masse. È rabbia. È disprezzo delle debolezze. È la legge del bastone. È rifiuto del compromesso. E chi si mette di traverso...».
Cesarino Rossi, fidato collaboratore di Mussolini, così riassume il delitto del deputato socialista Giacomo Matteotti: il duce «ogni
tanto ha bisogno di sangue». Lo stesso errore di Scurati lo commise nel 1976 Bernardo Bertolucci in Novecento. Raccolse giudizi entusiasmanti. Oggi è lo sbiadito ritratto di un'epoca ideologica fortunatamente archiviata.
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