«Un giorno scrivevo, non so mai dove vado a finire in questi casi, anche con le commedie. Ho iniziato così: Improvvisamente ho novant'anni. Poi da Einaudi mi hanno chiesto: perché non scrivi qualcosa sulla vecchiaia? Allora sono andata avanti...». Franca Valeri, ovvero la Cesira, la sora Cecioni, la Signorina Snob, è a casa sua a Roma, zona Collina Fleming, il cane Rorò («Aroldo, detto Rorò quarto») che russa appiccicato a lei sul divano, il salottino pieno di porcellane, qualche locandina, un mezzobusto dell'amato Giuseppe Verdi, le foto del secondo compagno (dopo il marito, il regista Vittorio Caprioli) Maurizio Rinaldi, direttore d'orchestra («un grande dolore, era molto più giovane di me, questa maledetta malattia... aveva un cancro ai polmoni, perché fumava»), una foto di lei sora Cecioni con la cornetta all'orecchio, i libri. Ci sono, in uno scaffale in basso, anche i suoi: l'ultimo è La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia), appena pubblicato da Einaudi, scritto dall'alto delle sue «nove decine», visto che è nata a Milano nel luglio del 1920 («ormai non si fa altro che dire l'età della gente, te la mettono fra parentesi...»).
Chi sono i superstiti?
«Quelli che hanno varcato una certa lunghezza di vita. In generale non sono molti».
E perché è una vacanza?
«Perché in fondo penso si acquisti una certa visione dall'alto della vita, non c'è l'ansia della gioventù o della mezza età. La vita è spesso un problema, anche. Non lo è più».
Il lavoro le manca, come dice nel libro?
«È vero. Quest'anno non ho la mia solita tournée, dopo tanti anni. Mi sembra impossibile».
Ma perché le manca?
«Perché amo lavorare. E poi di lavoro si vive, anche se, ormai, del nostro si vivacchia. Il teatro è in una crisi mortale, nessuno se ne preoccupa, escono delle leggi pazzesche».
Di chi è la colpa?
«La colpa è sia della crisi, sia di chi dirige le cose da mettere in crisi».
Ma gli spettacoli di oggi come sono? Belli?
«No, non sono belli. Qualcuno ancora sì, ma la maggior parte sono... da crisi. Io amo il teatro dal '45, da dopo la guerra ho sempre recitato: mi manca, l'anno scorso ho scritto l'ultima commedia, ho fatto ogni cosa».
Che cosa ama in particolare?
«Mi piace il pubblico, raccontare delle cose, scriverle anche, e recitarle. Avevo questo desiderio già da giovanissima, durante la guerra: mi mettevo al termosifone e recitavo qualcosa che avevo letto... Cechov, per esempio. Oppure leggevo Goldoni, Shakespeare».
È vero che all'Accademia a Roma fu bocciata?
«Fui bocciata, forse giustamente... Portavo Le mosche di Sartre all'esame, un testo difficile. E dire che come compagno avevo Tino Buazzelli, che era fra gli allievi dell'Accademia e si era offerto di farmi da compagno perché mi aveva trovato bravissima, lui. Rimase molto arrabbiato della mia bocciatura».
Come andò?
«Sentivamo la disattenzione degli esaminatori, era tardi, avevano fatto tante interrogazioni... A un certo punto ci hanno detto: Grazie. Però ho rapidamente capito che non mi dispiaceva: non ne avrei fatto parola con i miei genitori a Milano, avrei detto che era andato tutto bene».
Ci è riuscita?
«Stavo da una cugina di mio padre, deliziosa, che mi aiutò a mantenere il segreto. Mi dissi: adesso devo pensarci io a me stessa. E andò bene, perché incontrai le persone giuste. Andai anche a una specie di scuola con un regista russo famoso, Sharoff, e manco a dirlo mi adocchiò come una brava».
Nel '46 cominciò a recitare e votò, fra le prime italiane.
«Sì. Non gli diedi grande importanza, trovavo logico che si votasse. Non mi sembrava una cosa da festeggiare in piazza».
Ma non ha mai avuto paura sul palco?
«No, perché volevo farlo. Per molti attori è una vocazione, per altri è un modo per sbarcare il lunario, soprattutto oggi con la tv. Ma per approdare al teatro serve una volontà di ferro».
I suoi genitori erano contrari?
«Non erano d'accordo perché non c'era stato nessuno in famiglia, spesso gli attori sono figli d'arte. Però si divertivano quando, da bambina, facevo il verso a qualcuno».
Ma i suoi personaggi, la sora Cecioni, la Signorina Snob, come sono nati?
«Ho sempre avuto un grande spirito di osservazione: mi sono venuti spontanei. Sapevo dare loro una intonazione, sapevo quello che dicevano».
Il suo preferito?
«È un po' come i figli, non si sa... La Cecioni mi è molto simpatica, è indistruttibile. La Signorina Snob è una antipatica, però è divertente».
Ha lavorato con tanti grandi attori e registi: chi ricorda con più affetto?
«Più che altro li ho incontrati, ho lavorato soprattutto con me stessa e con le persone che sceglievo. Ero molto amica, e anche apprezzata e amata, di Vittorio De Sica, di Mario Monicelli, di Visconti a teatro, e poi molto di Strehler, che faceva solo begli spettacoli».
Non ha lavorato con loro?
«Con Giorgio solo piccole parti, con Luchino mai niente. Ero molto amica di Fellini e per caso feci una parte in un suo film, Luci del varietà. Mi aveva sentito imitare una coreografa ungherese e mi disse: La voglio, la voglio, e così improvvisammo una parte nel film. Erano i grandi di allora».
Come li ha conosciuti?
«Noi col Teatro dei Gobbi siamo rapidamente diventati molto importanti: facevamo un genere comico nuovo, attuale ed eravamo entrati un po' nel gotha del teatro, eravamo amici di Flaiano, Brancati e di quei meravigliosi scrittori ironici che hanno fatto un'epoca».
Anche Arbasino è suo amico.
«Molto amico. È l'unico più giovane di me, abbiamo dieci anni di differenza. Lui viaggia molto, si interessa a tutto e, quando va da qualche parte, mi manda sempre una cartolina. È il mio Alberto».
Pensa che quel mondo, degli anni Cinquanta e Sessanta, fosse migliore?
«I giovani di oggi sono troppo preoccupati: dallo stato delle cose, dal mondo. Questo Oriente in fiamme che si riversa da noi è un grosso problema, non da poco».
Alla fine del libro parla di guerra.
«Ce l'abbiamo ogni minuto, non si parla che di guerra. Mi colpisce che l'Europa per queste persone resti molto attraente, mentre a noi fa schifo».
Insomma il mondo non le piace?
«Non so a chi piaccia. Io vivo delle mie preferenze, delle persone che amo, dei miei cani, ne ho otto, dei miei gatti: sto bene perché sto nel mio brodo, ma capisco che un giovane o una ragazza siano molto più esposti».
Non è ottimista?
«Io molto, nella mia vita lo sono sempre stata. Ma non vale per tutti».
Ha rimpianti?
«No».
Un difetto della vecchiaia?
«È un dato di fatto: purtroppo non si evita, solo la morte te la fa evitare».
E un pregio?
«C'è un modo più chiaro di vedere le cose. Si guadagna la saggezza. Certo, niente è bello come la giovinezza, se non la si butta via».
Il peccato preferito?
«Me l'ha chiesto una volta anche Ginevra Bompiani, che ha fatto un libro sull'amore, invitando tanti scrittori. Io ho scelto il tradimento, mi sembrava il più interessante, drammatico: perché si fa, perché lo si subisce, perché non si esclude il perdono».
Ha tradito anche lei?
«Io no, ne ho avute abbastanza...».
Ma era gelosa?
«Si dovrebbe dire no... Ma parliamo di uomini, e a un certo punto l'uomo ha una parte che è solo sua, un momento in cui sembra che tu gli dia fastidio. Anche noi donne abbiamo dei momenti segreti: per esempio, quando scrivi sei lontano dagli altri».
Non è che sia la stessa cosa...
«No, non è come tradire, però è un allontanarsi. Comunque non lo considero una cosa terribile, e poi mi piace come racconto: sono un po' una di teatro, lo vedo come una commedia».
Il teatro aiuta nella vita?
«Ti aiuta e ti obbliga a essere sempre un altro. Un attore per vocazione è sempre un po' in teatro».
È vero che non ama i jeans?
«Sulle donne dopo una certa età mi danno noia. Noto che le donne non si guardano più allo specchio, io invece penso che si debba stare bene».
Di che cosa non può fare a meno?
«Di tante cose. Avrei detto leggere, ma ho scoperto che si può stare senza, anche se è una bella disgrazia non poterlo più fare. Direi delle mie bestiole».
Si ritiene fortunata?
«Io sono fortunata.
Ho avuto la famiglia, genitori meravigliosi e intelligenti, un fratello stupendo, la fortuna di voler fare l'attrice, una carriera fantastica, cani stupendi, gatti meravigliosi... Ora sono un po' scocciata, non dall'età, ma dalla crisi del teatro. E poi se c'è la guerra, mica l'ho fatta io».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.