Ma Venezia deve crescere, Masur non basta

Sfide, eventi: termini spesso pretestuosi, sostantivi quasi sempre inflazionati.
Alcuni giornali, in un periodo di «stanca» delle cose musicali com’è quello compreso fra Natale e l’epifania, si sono inventati una sfida. La gara che dovrebbe essersi instaurata fra il Concerto di capodanno da Vienna e quello da Venezia: entrambi «in scena» sul piccolo schermo e destinati ad un pubblico numericamente cospicuo.
Da parte sua la Rai ha deciso che il concerto veneziano per l’anno nuovo è un evento. Un’occasione tale da meritare la diretta (ma solo di metà programma) e da spostare così in differita - una differita peraltro di poche ore - l’appuntamento con il valzer degli Strauss che da una vita rischiarano gli occhi fondi come quelli dei dannati della Cappella Sistina di telespettatori reduci dai bagordi del cenone.
Questo della Rai è un amore per la musica sospetto, visto che si tratta della stessa istituzione che ha lasciato morire e seppellito tre orchestre sinfoniche e altrettanti cori; organismi i quali costerebbero meno, per un anno intero, di una sola serata con Bonolis o Celentano.
Le sfide a noi piacciono poco. Gli eventi solo se tali nella realtà d’arte. Il concerto dalla Fenice non è un evento ma un concerto di media qualità con un programma pirandellianamente «in cerca d’autore». Ascoltare ogni capodanno un Libiamo, una pagina vocale o strumentale di Puccini, una sinfonia di Verdi e il Va’ pensiero eseguiti da un’orchestra e un coro non eccellenti, ci pare poca cosa: una macedonia che ad insaporire non basta un direttore ospite di fama, quest’anno Kurt Masur, bacchetta peraltro assai teutonica dunque la meno adatta al repertorio operistico italiano e pesantuccia, pure, in quell’ouverture dalle Nozze di Figaro mozartiane che dovrebbe tradurre in suoni e fremiti una «folle giornata».
Ad ogni modo non tutto il male vien per nuocere, come recita il luogo comune. L’avere posposto temporalmente il concerto dal Musikverein ha creato, nella Rai, un produttivo, per così dire, senso di colpa. Che viene «espiato» trasmettendo finalmente per intero e di seguito (non metà al mattino e metà di notte come una volta) l’appuntamento nella Sala d’Oro di nome e di fatto.
L’eccellenza sopraffina e l’arte squisita dei Wiener Philharmoniker, programmi che accostano pagine celeberrime a brani e autori molto meno conosciuti, la passerella di bacchette con la maiuscola, una professionalità - anche - a prova di bomba, si sono rinnovati nel 2006 con un direttore solare e non importa se «nuovo» a Strauss e famiglia quale il lettone-russo Mariss Jansons, formidabile interprete del Novecento storico come della tradizione.
Da Vienna rimane in bocca il retrogusto di un sorriso franco e di una bacchetta contagiosa, dei Wiener felici come una pasqua: loro che certo non sono di bocca buona.

Venezia ti lascia appiccicata quella sua aria di routine e quanto ai cantanti ospiti, il ricordo di risultati molto medi: unica eccezione, il tenore Joseph Calleja. In verità non molto e non abbastanza per parlare - altro che evento - di un concerto di qualità.

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