Lucia SerlengaPadre piemontese, madre napoletana, nasce in Toscana, viene educato in vari collegi, fa il militare nel battaglione San Marco, studia ad Harvard e al Fashion Institute of Technology di New York dove prende un master in psicologia della moda, lavora in diverse parti del mondo per brand come Louis Vuitton e Jil Sander e dal 2010 è direttore creativo di Daks. La blasonata casa inglese fondata nel 1894 da Simeon Simpson è divenuta nel 1991 di proprietà del gruppo giapponese Sankyo Seiko Company e oggi tocca il traguardo di un fatturato di quasi un miliardo di euro. Filippo Scuffi, quarantaquattro anni, vive tra Londra, Milano e la Toscana e mantiene quella esplosiva passionalità tutta italiana che investe il suo interlocutore e lo rapisce. Ma è la sua bravura a collocarlo nel ristretto Olimpo di designer corteggiati dalle maison internazionali. Lo intervistiamo mentre sta preparando la prossima collezione Daks uomo che sfila a Milano il 17 gennaio.Cos'è l'eleganza? «Prendere le distanze da ciò che s'indossa. Ho sempre pensato che gli homeless nella loro condizione di assoluto disinteresse per quello che vestono - la necessità è coprirsi - paradossalmente sono eleganti». Chiamiamola disinvoltura? «Per me eleganza è vestirsi e dimenticarsi di averlo fatto, nonchalance e consapevole inconsapevolezza. Se indossi un cappotto di cashmere e ti viene la faccia da cappotto di cashmere è meglio lasciar perdere».Consapevole inconsapevolezza? «Sì, capacità di mischiare capi belli e senza tempo. Il dolcevita, per esempio, è una soluzione chic e pratica perché la camicia prevede spesso la cravatta e soprattutto quando è bianca dopo tre ore perde il suo candore». Uomini eleganti di ieri e di oggi? «Gianni Agnelli, sempre. Dei contemporanei mi piacciono gli attori Ryan Gosling e Jeremy Irons. Nel film Il danno è elegante perfino quando va in Oriente, ne adotta l'abito ma mantiene le sue scarpe inglesi senza stringhe». Cosa chiedi all'uomo? «Che sia vestito da uomo, che sia un po' snob, che abbia ironia e un po' di sensualità. Penso a Mastroianni, agli italiani degli anni'50, a quell'eleganza formale che ti concede di allargare il nodo della cravatta o di slacciare i polsini della camicia, di muoverti seconda gli umori della giornata. Si possono infrangere le regole, ma solo se le conosci». Quali stilisti ammira? «Nella moda maschile dove conta di più lo stile che lo stilista, mi piace Armani. Per la donna, Saint Laurent quando era Yves - se fossi una donna il suo smoking non mancherebbe nel mio armadio e l'americano Halston». Come riscalda lo stile very british di Daks? «Gli trasferisco la passionalità del Sud che è nel mio dna. Daks è un brand caratterizzato da una vera noblesse, serve la casa reale. Ho distillato nelle collezioni una sensualità che la moda inglese non prevederebbe». Riti scaramantici pre-sfilate? «Cresciuto fra suore, francescani, scolopi e gesuiti sono molto cattolico e prima di ogni sfilata rivolgo un pensiero alla mia nonna materna Anna che mi protegge da lassù». Cos'è la felicità? «Sapere che sono felici le persone cui voglio bene in primis la mia mamma. Poi fare il mio lavoro potendomi esprimere. Per un creativo la repressione è devastante. E infine, l'amore il sesso, il cibo». Cosa mangia? «Ho lo stesso approccio volitivo - sono dello Scorpione - nei confronti di cibo, amore, sesso. A Londra me la cavo con pasta pomodoro e basilico. Quando sono in Italia, adoro la mozzarella di bufala». Anticipazione sul prossimo défilé uomo? «Ho preso un'icona del guardaroba maschile, lo smoking, e l'ho stravolto. Il casting sarà con ragazzi biondi e dinoccolati, tra il principe Harry e Pierre Casiraghi.
Come se ragazzi di buona famiglia che studiano a New York o a Parigi, alle prese con un invito a cena con i genitori - e quindi controvoglia - indossassero lo smoking a modo loro decorandolo con fiocchi di gros-grain, code di pelo, spille e quant'altro». Insomma, zero formalità ma un pizzico d'ironia per una sfilata sorprendente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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