«È vero, mio padre era un boss. Ma io ho il diritto di vivere in pace»

La figlia di Giovanni Bontate, Roberta, non rinnega la famiglia ma rivendica il diritto a una vita normale per i figli dei mafiosi: «Basta pregiudizi. Giudicatemi per quella che sono, senza etichette»

Il cognome che porta, Bontate, è pesante. È pesante a Palermo, la città in cui vive, perché evoca gli orrori della guerra di mafia degli anni '80, quando nello scontro tra vecchia mafia e corleonesi emergenti i morti per le strade del capoluogo siciliano non si contavano più. Ed è pesante in Italia, perché il marchio di figlio di boss, a meno di non fare una scelta drastica di aperta rottura con la famiglia d'origine, non si cancella, mai. Eppure Roberta Bontate, figlia di Giovanni Bontate, trucidato nel 1988, rivendica il diritto ad essere dimenticata. Anche se, nello stesso tempo, non ha alcuna intenzione di rinnegare la famiglia d'origine.
La vicenda di Roberta Bontate è venuta fuori qualche mese fa, quando si è scoperto che era stata assunta da una cooperativa legata alla Regione(con cui non ha più rapporti da tempo) che si occupa di gestire i beni confiscati. Ed è diventata un caso nazionale dopo che di lei si è occupata Striscia la notizia. Roberta, che quando la mafia le assassinò il padre e madre, Francesca Citarda, aveva appena 11 anni, oggi è sposata e ha tre figli. Senza il peso del cognome che porta sarebbe una donna qualunque. Di qui la sua rivendicazione. «Ciascuno di noi - dice la donna a LiveSicilia - dovrebbe avere la libertà di vivere la propria vita seguendo i principi in cui crede senza essere vittima dei condizionamenti derivanti dal pregiudizio. Io ho sofferto. Soffro. Ho la piena consapevolezza degli errori di mio padre. Ha commesso gravissimi reati che condanno fermamente e che non giustificherò mai, ma posso dire che con noi e con mia madre era un uomo dolce. Nutrirò, sempre e comunque, per lui un grande affetto».
Dunque, nessuna rottura con una famiglia il cui nome evoca morte e sangue. Un po' la stessa posizione dei figli di Bernardo Provenzano, che non hanno mai rinnegato il padre pur non avendo mai avuto guai con la giustizia. «Ho costruito il mio riscatto, passo dopo passo -dice Roberta Bontate - ho incontrato mio marito con cui abbiamo condiviso la nostra vita nel segno della legalità e nel rispetto del prossimo. Sono venuti tre figli». Una vita tranquilla, dopo un'infanzia drammatica. Una vita tranquilla sconvolta dal servizio di Striscia che ha portato a galla la vicenda. « Perché - chiede Roberta - non mi hanno dato la possibilità di chiarire subito? Perché il mio cognome provoca una condanna implicita? Hanno totalmente stravolto la realtà. Non mi piace l'etichetta che questa città ti appiccica addosso. Per me l'etichetta col cartellino: figlia di mafioso. Prima ti chiedono, giustamente, di cambiare, di spezzare il circolo vizioso. Costruisci un'esperienza diversa e ti attaccano senza conoscerti, senza sapere chi sei realmente.

Dopo il servizio di "Striscia" ho ricevuto attacchi feroci ed arroganti fondati sul pregiudizio. Vorrei che tutti conoscessero la mia storia. Non ho nulla da nascondere. Giudicatemi per quella che sono. E lasciatemi vivere in pace».

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