nostro inviato
ad Appiano Gentile
Leroe della Supercoppa è lui: Juan Sebastian Veron, 30 anni compiuti lo scorso marzo, una carriera che sembrava al lumicino appena due anni fa, quando nel Chelsea di Roman Abramovich si spense tra infortuni e polemiche. Ci voleva un «amicone» come Roberto Mancini per ridargli fiducia, voglia di giocare e, soprattutto, lanima di un vincente. Detto e fatto, il «professor» Veron, come ormai è soprannominato largentino, vero regista e padrone del centrocampo nerazzurro, ha sfoderato la zampata che ha regalato a Massimo Moratti la terza coppa della sua gestione e permesso al Mancio di fare bis in appena due mesi, dalla coppetta Italia di metà giugno alla Supercoppa del dopo ferragosto. Vinta a Torino, sul campo della Juventus, rivale di sempre...
«Ha un sapore particolare questa coppa», esordisce Veron con gli occhi arrossati per non essere riuscito a dormire, «perché sia Capello che la Juve nella loro storia hanno vinto parecchio e per nessuno è facile vincere a Torino, soprattutto una finale secca. È stata una gioia particolare, soprattutto per lInter che negli ultimi anni non ha vinto molto. Si può discutere sullimportanza della Supercoppa, ma resta comunque nellalbo doro e poi anche la Juve ci teneva a conquistarla, non solo noi».
Sembra quasi dire: ci volevo io per far vincere qualcosa allInter, ma il ragazzo è intelligente, fa capire ma non dice. La realtà è che da quando Veron ha preso il bastone del comando, lInter sè messa a vincere. «È vero, non ho dormito dopo la partita», confessa largentino, «ma solitamente non riesco a farlo, sia che vinca sia che le cose vadano male. Ma è più bello non dormire quando si vince. Anche perché una serata come quella di Torino me laspettavo da quando sono tornato dallInghilterra, dove ho vissuto momenti non belli. Ma questo è il calcio: ti toglie e ti dà e nellInter non avevo ancora segnato un gol così pesante. Al di là di tutto cerco di viverlo in maniera tranquilla, senza montarmi la testa: domenica sera è stata una bella serata, una bella gara. Ora dovremo ripeterci, io e la squadra».
Già, la squadra, la stessa vecchia Inter della passata stagione che ora sembra rigenerata, una squadra che a Veron piace un sacco: «Cè grande personalità e riusciamo a fare anche bel gioco. Non condivido le parole di Capello che ha affermato che la nostra è stata una vittoria fortunata. È stata una sfida equilibrata nella quale entrambe le squadre hanno avuto le proprie occasioni. Noi siamo stati bravi a sfruttare la nostra e un pizzico di fortuna nel calcio ci vuole, mi riferisco al palo colpito da Vieira».
E al Veron goleador brillano gli occhi quando si accenna allassist fornitogli dal bomber per eccellenza, Adriano, che in due gare ufficiali ha segnato un gol e fatto due passaggi vincenti: «Per lui questo è un momento molto importante perché ha capito che per ambire a trofei personali, come il Pallone doro, deve aggiungere certi colpi al suo gioco. Adriano sta migliorando tantissimo e queste cose danno il segnale che abbiamo a che fare con un ragazzo intelligente che capisce al meglio le situazioni di gara».
Parole confortanti anche per il suo «rivale» in cabina di regia, il cileno Pizarro: «Il gioco è migliorato col suo ingresso perché un calciatore di qualità aggiunge più qualità alla squadra. Deve sempre essere così, Pizarro ha grandi doti tecniche e sta benissimo in questa Inter. E insieme possiamo giocare, labbiamo dimostrato». Ma sembra essere il nuovo Veron, pimpante e fisicamente a posto come mai nel passato, il valore aggiunto dellInter.
«Per me era importante fare gli ultimi due ritiri completi senza saltare nemmeno un allenamento. Io ho sempre corso molto e avevo bisogno di allenarmi bene. Ritrovarmi con persone che mi conoscevano è stato sicuramente un vantaggio e sono davvero soddisfatto della mia condizione fisica. Lho dimostrato nel contropiede di Adriano, bravissimo a vedermi alle sue spalle e lì ho pensato solo a tenere il pallone basso, che è la cosa più difficile.
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