Verro: "Lo share non lo giustifica. Deve rispettare le regole"

Intervista al consigliere di viale Mazzini: "L'errore è stato non trovarel'accordo per la sua uscita. Impossibile non procedere anche a costo di rafforzarlo"

Antonio Verro, il Cossiga della Rai, ultimamente ha preso uno slancio da «esternatore». Non ce la fa a guardare e tacere. E, se sollecitato, interviene su tutto ciò che riguarda l’azienda pubblica, dalla valletta di Sanremo al ben più intricato caso Santoro. Verro è uno dei consiglieri Rai vicino alla maggioranza pidiellina. Ieri la lunga questione Annozero ha toccato l’apice con la decisione del direttore generale Mauro Masi di comminare una sospensione di dieci giorni al programma (quindi per due puntate), con relativa mancata retribuzione, a partire da lunedì.
Verro, ieri se ne è parlato in cda....
«Sì, ma i consiglieri non possono fare altro che prenderne atto. La competenza è solo del direttore generale. Santoro cerca ancora un volta di coinvolgerci, ma in questi casi noi possiamo solo esprimere opinioni».
E lei cosa pensa della linea adottata da Masi, non è sproporzionata?
«No, in nessuna azienda al mondo verrebbe tollerato che un dipendente mandi a quel paese (la famosa frase “Vaffan...bicchiere“ pronunciata dal giornalista nella prima puntata di Annozero) il suo direttore generale».
I sostenitori di Santoro le risponderebbero che in nessuna azienda al mondo si tenta di licenziare un dipendente che garantisce ottimi risultati perché attacca il premier in carica.
«Un errore non giustifica un altro errore. Santoro invoca rispetto per le regole da parte di tutti, ma lui ritiene di poterne essere al di sopra. Nel provvedimento deciso da Masi non c’è alcuna scorrettezza, ha seguito le procedure previste dalla legge. E tutti coloro che si ergono a difesa di Michele, non guardano la sostanza».
Quali sono stati allora gli errori?
«Trovo un errore fare tutto quanto si riveli un boomerang per l’azienda e mettere in moto azioni che non fanno che aumentare la forza di Santoro».
E gli ultimi provvedimenti non vanno in questa direzione? Santoro non ne esce più martire di prima?
«Di fronte a un attacco del genere in diretta verso il proprio direttore, si doveva certamente procedere. Lo sbaglio è stato quello di non concludere tempestivamente l’accordo che si era trovato in primavera per un’uscita consensuale del giornalista dall’azienda: in quel momento la situazione doveva essere risolta».
Ma ormai non c’è più possibilità di conciliazione e per «Annozero» ogni scontro aziendale è un punto in più di share...
«Infatti Santoro cerca di alzare sempre di più l’asticella della sfida per guadagnare in popolarità e share. Ma il fatto che uno abbia un grande successo di pubblico non giustifica ogni sua azione».
Santoro replicherebbe che non fa altro che difendersi e che il vertice aziendale fa di tutto per mettere in crisi la trasmissione.
«Michele non riesce a capire che l’obiettivo dell’azienda non è di chiudere la sua trasmissione, ma di ricondurlo al codice etico che ogni conduttore dovrebbe rispettare, che è semplicemente quello di esser terzo tra le parti, non parte in causa».
Ma è necessario non firmare il contratto di Travaglio e impedire al pubblico di applaudire?
«È mia opinione strettamente personale che Travaglio sia incompatibile con la finalità del servizio pubblico. Con lui in trasmissione ci vorrebbe un’altra persona, come potrebbe essere Sgarbi, a fare da contraltare. Per quanto riguarda il pubblico, è ovvio che non si può stare lì con il bilancino, ma basta un po’ di equilibrio».
Ora Santoro farà ricorso contro i provvedimenti e, ancora una volta, decideranno i magistrati.
«Se lui si avvarrà della sede arbitrale, il provvedimento sarà sospeso automaticamente fino alla decisione. Se ricorrerà al tribunale, si vedrà cosa sceglieranno i giudici in attesa dell’esame del caso. Certo la questione rischia di allungarsi per molto tempo».
Ma come si può risolvere questa aggrovigliata questione che tiene in scacco l’azienda da anni?
«Veramente io una ricetta non ce l’ho.

Certo, il tempo da noi dedicato alla vicenda, ed ad altri casi simili in cui è intervenuta la magistratura, è veramente troppo. Abbiamo molti altri problemi di cui occuparci. Penso che l’unica possibilità sia di sedersi intorno a un tavolo e trovare una soluzione condivisa».

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