Il vescovo e la donna: i travestimenti dei due boss

Marianna Bartoccelli

da Roma

«U’ siccu» è giovane, compie 44 anni domani, porta Ray Ban fumè, e la stampa lo descrive un bon vivant, amante della bella vita, delle donne e degli oggetti di marca. «U’ tratturi» ha 72 anni, è basso e tarchiato, sotto gli occhiali a giorno, al momento del suo arresto tutti sono rimasti colpiti dal suo sguardo azzurro e diretto, e la pelle liscia, senza rughe come di chi è abituato a vivere in campagna e nutrirsi di cibi sani. E pare abbia sempre amato una sola donna, la madre dei suoi figli. U’ siccu, Matteo Messina Denaro sembra destinato a diventare il successore del boss di Corleone, malgrado le grandi differenze non solo di età, ma anche culturali. Le tante storie venute alla ribalta in questi anni daranno di che parlare a sociologi e mafiologi, ma un dato sembra ormai accertato. È lo stesso Provenzano a indicare in Matteo Messina Denaro l’erede. Sono passati otto anni da quando il tentativo di far uscire di scena il boss di Corleone venne fatto con l’accordo del capo della mafia di Trapani, considerato il latitante numero 2 di Cosa nostra. Lo racconta la pentita di mafia Giusi Vitale, sorella dei boss di Partinico, i fratelli Vito e Leonardo, arrestata nel 1998 che da febbraio racconta «bellu linnu linnu» tutto quello che ha saputo vivendo nella sua famiglia. Fu Leonardo che scrisse, nel 1998, a Binu «che doveva stare a casa a curarsi della famiglia» perché la sua presenza era diventata «ingombrante». A mandare quel messaggio al capo dei capo era anche Matteo Messina Denaro.
Ma Provenzano rimase al suo posto e cominciò a indicare nel giovane boss il suo erede. Che dalla sua latitanza riusciva a comunicare con il suo «padrino», non solo per iscritto.
I due sono diversi in tutto, tranne che nella capacità di sparare e ammazzare. Anche i loro travestimenti rivelano le differenze. Sempre la pentita Vitale, racconta che Provenzano si presentava agli incontri vestito come fosse un vescovo, e su un’auto blu. Nel 1999 i magistrati della procura di Palermo furono a un passo dal catturare il boss trapanese. Sapevano che si era rifugiato in una villa a Santa Flavia (vicino Palermo). Ma «u’ siccu» si travestì da donna, con lunga parrucca bionda e riuscì a far perdere le tracce. Ma quel rifugio mise comunque gli investigatori sulle tracce di quanti, professionisti, politici locali, manovali, proteggevano la latitanza sia di Matteo Messina Denaro che di Provenzano. Venne arrestato il proprietario della famosa clinica oncologica di Bagheria, Michele Aiello, e il medico chirurgo Giuseppe Guttadauro, considerato il boss di Brancaccio (erede quindi dei fratelli Graviano, amici di Messina Denaro) e luogotenente di Provenzano. È l’inchiesta che porterà all’arresto delle talpe della Procura di Palermo e all’accusa di favoreggiamento del presidente Cuffaro. Quell’indagine mise in evidenza che un fratello di Guttadauro, Filippo, era sposato con la sorella di Matteo Messina Denaro. L’asse quindi Trapani- Bagheria e il rapporto tra i due boss aveva anche delle linee familiari. I due, secondo gli investigatori, nel 1999 vennero ricoverati nella clinica Santa Teresa di Aiello. Binu per curarsi, e Matteo per ragioni di copertura. E probabile che abbiano parlato e stabilito quel feeling che ha portato Provenzano a indicarlo come suo successore.
Sono stati entrambi condannati come mandanti delle stragi del 1993, quelle di Firenze, di Roma e Milano. Ma anche in quell’occasione, a sentire i pentiti, i punti di incontro erano pochissimi. Denaro in realtà era un fedele di Riina e Brusca che volevano le stragi. Mentre Provenzano non era d’accordo. Con i suoi amici, i fratelli Graviano, Denaro passò un periodo di vacanza poco prima della strage di via Georgofili in una lussuosa villa a Forte dei Marmi, insieme alle loro rispettive fidanzate. Quell’anno ancora il giovane boss era libero, ed era andato nella località di mare con la sua fidanzata di allora, una giovane tedesca. Ma la sua vacanza è stata considerata dai giudici una base di appoggio per le stragi del ’93. Altro punto in comune con il padrino sono le trasferte all’estero per curarsi.

Così mentre Provenzano riesce ad andare a Marsiglia sotto falso nome, il boss trapanese nel 1994 va a Barcellona, in una nota clinica oculistica, registrandosi con il suo vero nome, per curare lo strabismo che copriva con gli occhiali scuri. Anche se chi lo ha conosciuto lo descrive come uno dallo sguardo «tenebroso», mentre per molti quello di Provenzano è «di ghiaccio».

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