Vi racconto quando il tennis a Roma era in bianco e nero

«Io, Gardini, Merlo e Pietrangeli non avevamo una lira. Un giorno arrivai in campo col furgone. E ieri Federer ha ringraziato Nicola...»

Il tennis negli Anni ’50 era un’avventura in bianco e nero. Eravamo giovani di belle speranze: Fausto Gardini, Beppe Merlo, Nicola Pietrangeli ed io, diciassettenne venuta dall'Africa. Quattro ragazzi senza una lira che affidavano i loro sogni di gloria a una racchetta. Niente di paragonabile agli Internazionali d'Italia che lunedì hanno preso il via al Foro Italico. Eppure, anche 50 anni fa, a contendersi il titolo c'erano grandi campioni, tennisti che hanno scritto la storia del nostro sport.
Mi sono avventurata nei ricordi chiedendo a Fausto Gardini di raccontarmi la sua prima volta al Foro Italico: «Giocai una esibizione di doppio nel 1949. Io e Cucelli affrontammo Drobny e il Barone Von Kramm. Nel 1951 persi nei quarti da Budge Patty. Nel 1955 vinsi il torneo battendo Beppe Merlo, ma - Fausto continua - non vorrei che il lettore di oggi immaginasse un torneo tutto italiano. In tabellone c'erano tennisti del calibro di Drobny, Sedgman, Seixas, Patty, Davidson, Rosewal e Hoad. Campioni straordinari che, turno dopo turno, io e Beppe riuscimmo ad eliminare. Ma, allora, il tennis era un gioco da dilettanti: nessuno di noi aveva una lira! Nel 1951 abitavo in una pensioncina. Negli anni successivi vissi da signore perché ero ospite di Vasco Valerio, un grande appassionato di tennis che divenne capitano di Coppa Davis».
Anche Beppe Merlo ricorda quegli anni: «Campavamo su delle noccioline. Non avevamo gli occhi per piangere. Roma è rimasta la mia spina nel cuore: nel 1955 persi con 3 match point contro Gardini. Stavo 2 set a 1 e 6-5. Lui si salvò da 15-40 sul proprio servizio. Nel 1956 battei Mervin Rose 14-12 al quinto e il giorno successivo mi arresi a Pietrangeli, che non mi aveva mai battuto». Il primo ricordo di Nicola è quello di giudice di linea sul centrale che oggi porta il suo nome: «Due vittorie mi appartengono - dice con orgoglio -, la prima è del 1956 contro Merlo, la seconda del 1957 quando battei Laver, il leggendario campione australiano». Pietrangeli mi fa notare: «Si giocava fin dal primo turno al meglio dei 5 set, senza sosta ai cambi di campo. In caso di crampi il fisioterapista non poteva intervenire. Altroché injury time. Dopo 3 minuti eri out...».
Per quanto mi riguarda ricordo un primo maggio del lontano 1953. A Roma non c'erano mezzi pubblici. Io non avevo i soldi per pagarmi un taxi così, spendendo 100 lire, grazie a una scala di legno, venni issata sopra una camionetta che mi scaricò vicino al Foro Italico. Persi contro Maureen Conolly la famosa «Little Mo» che quello stesso anno divenne n.1 del mondo. Una cosa è certa: nessuno di quei quattro ragazzi avrebbe immaginato che un giorno i campioni di tennis sarebbero arrivati a Roma con la loro corte fatta di manager, coach, fisioterapista e preparatore atletico. Scortati da guardie del corpo e trasportati su lussuose macchine. Erano altri tempi: non c'era il montepremi, non c'erano gli sponsor, non c'era la pubblicità.
Questa edizione degli Internazionali d'Italia è la più bella degli ultimi anni. Non manca nessuno. Ieri abbiamo ammirato Roger Federer in tutto il suo splendore.

Lo svizzero, che ha battuto Canas, all'uscita dal campo ha detto ammiccando a Pietrangeli: «Hai visto quante palle corte ho fatto». A Montecarlo, commentando la sua sconfitta contro Nadal, Nicola gli aveva suggerito di utilizzare un’arma in disuso: il drop shot.

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