"Vi spiego perché ci servono TikTok e la Ferragni"

Con social e influencer il direttore degli Uffizi ha rivoluzionato il modo di comunicare l'arte. "Caravaggio è rock, con Raffaello andrei a cena"

"Vi spiego perché ci servono TikTok e la Ferragni"

Da quando Eike Schmidt, leva 1968, ne ha assunto la direzione, le Gallerie degli Uffizi hanno numeri in crescita: dal 2015 i visitatori sono aumentati del 33% toccando quota 4,4 milioni. Il museo di Firenze è il più visitato d'Italia dopo il Parco archeologico del Colosseo. Più che raddoppiati (+119%) sono anche i ricavi che in cinque anni sono passati da 16 a 35,1 milioni di euro.

Il crescendo - arrestato dalla pandemia - si deve alla strategia di questo manager che ama sparigliare le carte, soprattutto in termini di comunicazione, cosa che talvolta accende timori di mercificazione dell'arte e degli spazi. Schmidt, esperto di Rinascimento e Barocco, ha fatto le cose a modo suo. Del resto, Firenze l'aveva nel cuore già dai tempi del dottorato di ricerca con tesi sulla collezione medicea.

A luglio, ha sollevato un polverone la foto che suggella il saluto con il gomito di Schmidt e l'influencer Chiara Ferragni davanti alla Primavera di Botticelli. Una bufera controbilanciata dall'impennata di visite della generazione Z.

Nel lungo periodo che ripercussioni ha avuto la visita di Chiara Ferragni?

«Dopo il balzo iniziale, a un certo punto la curva s'è abbassata, continua però a rimanere alta la presenza dei giovani. Non c'è dubbio che questa visita abbia contribuito a dare vitalità alla riapertura nell'immediato post-lockdown».

Rifarebbe l'operazione?

«Sicuramente, anche perché al di là dei numeri, ho poi ricevuto una serie di email di genitori felici perché i propri figli chiedevano di poter venire agli Uffizi».

In fase pre-covid i visitatori erano quasi 4,4 milioni. Sono numeri che potrebbero crescere ulteriormente oppure è il tetto massimo consentito dagli spazi?

«C'è ancora margine di crescita ad esclusione delle domeniche e della fascia oraria tra le ore 11 e le 13. Per noi è determinante alzare l'asticella durante la bassa stagione, quindi nei mesi tra novembre e febbraio, fase in cui offriamo ingressi a prezzi più contenuti per incentivare i cittadini fiorentini e il turismo di vicinanza».

Siete il museo d'arte più visitato al mondo su TikTok. Ma il «New York Times» ha bollato come «irriverenti» alcuni vostri video. Cosa risponde?

«Il problema non sono i contenuti irriverenti ma il fatto che la cultura possa diventare irrilevante. Ogni generazione deve trovare il suo immaginario, la propria musica, le proprie opere d'arte. L'approccio tradizionale, penso anzitutto all'insegnamento di storia dell'arte nelle scuole, continua ad avere un enorme valore, ma non è l'unica strategia. Così come portare i bimbi al museo è fondamentale, però non tutti si affascinano subito a questo mondo, anzi c'è chi lo vive come un obbligo sviluppando una forma di avversione. In questi casi è preferibile pensare a strategie ludiche».

Ha definito Caravaggio un artista rock, e noi siamo con lei. Però stando alla «cancel culture» finirebbe nella lista degli autori proibiti. Cosa dire ai cultori dell'artista senza macchia?

«Cancellare la cultura è già di per sé un ossimoro. La cultura non si lascia cancellare. La cultura sta anche per l'altro da noi, è emanazione dei nostri antenati che su certi temi avevano una visione diversa e addirittura opposta alla nostra. Ancora oggi, osservando altri Paesi, possiamo riscontrare aspetti non del tutto accettabili ai nostri occhi. Per questo ci vuole apertura e bisogna capire meglio dove porre i confini. E comunque processi e reazioni assimilabili alla cancel culture sono sempre esistiti. Penso alla Rivoluzione francese, radicale al punto da inventarsi un nuovo calendario. Ci sono sempre state queste tendenze. Io semmai penso a un processo inverso, alla cultura come memoria.

Cosa intende?

«C'è sempre il momento in cui qulalche personaggio del passato non dice più nulla perchè sempre più distante nel tempo. Il mondo continua a girare e con lui la storia, si tende a sostituire nomi e fatti passati con altri più recenti. Tuttavia vi sono atti che vanno assolutamente ricordati. Siamo a Firenze e mi vien da pensare all'attentato del 1993 di via dei Georgofili. Con buona probabilità l'ultima generazione ignora quella strage destinata così a cadere nel più totale dimenticatoio se non si creano forme di commemorazione. Non basta. La cultura della memoria non deve solo attingere a eventi luttuosi, vanno ricordati anche i successi. E qui entrano in campo i musei perché aiutano a vedere il ruolo positivo di eventi e personaggi del passato. Vi sono quadri e sculture che ricordano la forza del mecenatismo dei Medici o gli ideali per cui lottò Galileo Galilei. E parlo di un dipinto che - non per nulla - chiude il percorso di visita agli Uffizi».

Se potesse invitare a cena un artista del passato su chi cadrebbe la scelta? E cosa vorrebbe chiedere?

«Inviterei Raffaello perché si racconta che amasse conversare. Per la verità avrei una montagna di domande per Michelangelo ma sono sicuro che non direbbe niente considerato che non si confidava neppure con le persone della sua cerchia di conoscenti e amici. Un altro personaggio intrigante al quale avrei tante domande da porre sarebbe suor Plautilla Nelli, ma trattandosi di una monaca sarebbe un altro incontro impossibile».

Secondo lei, che è tedesco, cosa rappresenta oggi la cultura italiana per la Germania.

«L'Italia continua ad essere il Paese sognato dai tedeschi, perdura l'ammirazione per la cultura e la bellezza del paesaggio. Gli studi su Dante, per esempio, sono ancora molto vivi, sebbene non abbia scritto nella nostra lingua. Anche per il teatro contemporaneo c'è un vivo interesse; lo stesso vale per la letteratura contemporanea, tanti vostri libri vengono tradotti subito. Io sono qui agli Uffizi, ma è un italiano a guidare la Berlinale così come è italiano il direttore di Die Zeit, uno dei maggiori quotidiani tedeschi».

Cosa deve alla sua formazione tedesca?

«Apprezzo il fatto di aver frequentato il liceo classico che in Germania prevede anche lo studio delle lingue vive e delle materie scientifiche, ed io adoravo la Chimica e la Biologia».

Come vive la distanza fra un sentire tedesco e italiano?

«Io vengo da Friburgo, per cui sono un tedesco del Sud, per certi versi più paragonabile a un siciliano che a un milanese».

Dopo gli studi umanistici cosa ha voluto dire l'esperienza a Sotheby's?

«Per la prima volta ho assunto responsabilità di natura economica. È stato una sorta di corso accelerato alternativo al Mba. I principi del management li ho imparati lì. Cosa molto utile per dirigere i dipartimenti dei musei americani prima e degli Uffizi poi».

Che tipo di famiglia era la sua?

«Una famiglia di medici da parte di papà, che era oculista, e di musicisti da parte di mamma. Ho tanti cugini musicisti, nessuno invece si occupa d'arte visiva».

Con #RinasceFirenze, il sindaco Dario Nardella ha avviato una riflessione sulla trasformazione della città del post-pandemia. Gli Uffizi che ruolo giocano in questo processo?

«Credo che gli Uffizi abbiano dato un contributo determinante alla ripartenza della città dopo il lockdown. E non solo da un punto di vista psicologico. Prima abbiamo riattivato il Giardino di Boboli, poi Palazzo Pitti quindi gli Uffizi e nel frattempo riaprivano i ristoranti. Siamo stati utili per una ripartenza concreta, anche in termini economici. Gli Uffizi sono un motore fondamentale dell'economia della città, e quanto è accaduto da giugno in poi aiuta a fugare gli eventuali dubbi di chi non ne era totalmente convinto».

La Loggia Isozaki, in sospeso da vent'anni, si farà. In agosto il Mibact ha sbloccato 12 milioni per realizzarla.

«Sono milioni che si integrano con i 40 stanziati per i Nuovi Uffizi e i 18 per il nuovo stralcio. Così si completerà il progetto con una triplicazione degli spazi espositivi».

Come si vede entro il 2030? Domanda che scatta pensando al secondo mandato in scadenza fra tre anni.

«Sono talmente assorbito dagli impegni agli Uffizi che non spingo lo sguardo oltre il 2023. È importante pensare a progetti a lungo termine non necessariamente collegati al mio mandato. La Loggia verrà inaugurata nel Natale 2024 quindi è possibile che arriverò a quel taglio del nastro come ospite, ma questo non significa che lotterò di meno per il completamento».

Se Abu Dhabi o Riyad proponessero agli Uffizi una collaborazione simile a quella che ha coinvolto il Louvre, accetterebbe? Se sì, a quali condizioni?

«È questo il punto: le condizioni. Abbiamo già collaborazioni internazionali, per una mostra sull'arte islamica abbiamo ricevuto quadri dal Qatar, e gli sceicchi sono venuti a vederla. Per dire che i contatti ci sono, e così pure i progetti espositivi che di fatto sono il primo passo per qualcosa in più. Detto questo, va rimarcato che l'esperienza di Abu Dhabi è un unicum non replicabile e specialmente a quelle condizioni che implicano un arco temporale notevole. Il Louvre dimostra che tutto funziona quando l'interesse a collaborare è reciproco e si lega anche a questioni di geopolitica. Per concludere, dico che non opterei comunque per un Uffizi 2».

Ama coltivare le visite di influencer, artisti del pop e rock. Prima o poi andrà oltre la visita? Le piace l'idea del Louvre che ha fatto da set a Beyoncé?

«Siamo aperti a questi progetti e di fatto già ospitiamo i concerti del sabato in collaborazione con il Conservatorio della città, così come ad agosto abbiamo accolto nei giardini di Boboli un ciclo di opere e concerti. Il punto è un altro: va bene Beyoncé, ma a patto che il repertorio proposto si sposi con il contesto, non ha senso girare una clip solo perché quel determinato artista è popolare. Mi è molto piaciuta l'operazione del Museo Egizio di Torino che ha collaborato con Mahmoud per un video che si sposava in modo eccelso con il contesto, valorizzando le collezioni. Il rapporto deve essere reciproco».

Gli Uffizi sono attivissimi sul digitale, ma quanto costano queste operazioni?

«Meno dell'1% del bilancio. Non abbiamo ricavi diretti, però registriamo un guadagno culturale, identitario, perché ora tante persone da tutta Italia e dall'estero ci seguono ogni giorno. Queste azioni hanno ripercussioni sulle visite al museo, sul merchandising e l'e-commerce».

La pandemia ha portato alla ribalta il concetto di Turismo lento contro il «mordi e fuggi». Come assecondate la nuova tendenza?

«Abbiamo introdotto il biglietto cumulativo Passepartout 5 Days, che dura cinque giorni e consente una visita a ciascuno dei musei delle Gallerie degli Uffizi, quindi Uffizi, Palazzo Pitti, Giardino di Boboli, al Museo Archeologico Nazionale e al Museo dell'Opificio delle Pietre Dure.

Dal 2018, abbiamo introdotto un'opzione ancora più slow: il Passepartout annuale (70 euro) e il Passepartout Family (100 euro per due adulti e figli fino a 18 anni) che vale per tutte le strutture museali del Passepartout 5 Days ed è valido fino a un anno».

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