A viale Mazzini esordì con: «Michele chi?»

Ho conosciuto Enzo Siciliano a Roma nei primi anni ’50 in un appartamento altoborghese di via Verona, alle spalle di piazza Bologna, dove un gruppo di studenti ed io, allora assistente volontario del professor Sapegno, ci riunivamo per discutere di politica, arti, letteratura. Enzo interveniva sempre con allegria: portava con sé una chitarra che suonava abbastanza bene invitandoci poi a cantare. Siciliano stesso ci offre un ricordo delizioso di quegli anni nell’ultimo numero della rivista, da lui salvata più volte dal naufragio, Nuovi Argomenti, di cui era stato direttore insieme con Moravia, Pasolini, poi Bertolucci: «Ero giovane e avevo 20 anni. Percorrevo il più possibile a piedi le strade verso l’università, quando Roma aveva spazi ancora scavati nel silenzio. Mi piaceva camminare: un’abitudine presa con un amico e compagno di studi, tempo prima, quando non riuscivamo a ragionare di niente, di quanto insieme studiavamo per esempio, se non camminando per il solco obbligato in linea retta che dai nostri quartieri sud di Roma, dalla basilica di San Giovanni in Laterano ci portava al Pincio, via Conte Verde, Santa Maria Maggiore, il Viminale, via Quattro Fontane, via Sistina, fino alla terrazza della Casina del Valadier. \ Il tram, il 3, mi sferragliava accanto in salita: tagliava in verticale la città, da via Casilina, piazza Lodi, su fino a via Eleonora Duse, ai Parioli. E la mia mente inseguiva fantasmi \. Sul tram che mi portava alla Sapienza \ sfogliavo il volumetto Einaudi Della Tirannide, poiché di lì a poco, consumato il quarto d’ora accademico, il professor Sapegno avrebbe bisbigliato, con gli occhi fissi alle proprie ginocchia, nascoste dalla cattedra, la sua lezione che noi a orecchie tese cercavamo d’appuntare su un quaderno».
Ma chi è l’uomo Siciliano? Non è difficile definirlo: un uomo appassionato del proprio mestiere di intellettuale, di critico, di narratore, di esperto di cose d’arte, con una professionalità poliedrica ma mai dilettantesca, anche se assolutamente priva del terribile cinismo dell’intellettuale contemporaneo. Certo, Siciliano qualche piccolo compromesso ha dovuto farlo, ma soffrendolo profondamente e pagandolo di persona e spesso ribellandosi alle leggi del mercato e del compromesso stesso con improvvise e purtroppo ingenue ribellioni, come quella per esempio delle sue dimissioni dalla prestigiosa e «utile» carica di presidente della Rai perché non era riuscito a imprimere una svolta di cultura a quell’elefantiaco complesso di comunicazione ormai definitivamente avviato al più vieto e opportunistico commercialismo.
A tale proposito: Siciliano è stato sì un uomo di sinistra, ma di una sinistra razionalissima e illuminata, ferma nei propositi e nei principii, ma sempre disposta al dialogo con chiunque purché ad armi pari e con lealtà di espressione, dialogo che, in quanto tale, può anche giungere al forte contrasto dialettico ma privo di volgarità e di retorica. Siciliano è stato un ottimo scopritore di talenti: sono sue le scelte di Dario Bellezza, Edoardo Albinati e poi di Lorenzo Pavolini e Mario Desiati per i vari incarichi della redazione di Nuovi Argomenti.
L’onestà intellettuale di Siciliano apparve chiara ai miei occhi in occasione della presentazione di una sua Storia della Letteratura Italiana in tre volumi (Mondadori) fatta da Alberto Asor Rosa e Cesare Garboli; Garboli con la acribia, ma anche con il tono di superiorità dell’interloquire che gli era proprio, incalzò Siciliano con alcune obiezioni opinabili, mentre Asor Rosa difese con energia l’opera del suo antico compagno d’università. Subito dopo la presentazione mi avvicinai a Enzo, manifestandogli la mia solidarietà che del resto avevo già espresso pubblicamente con una recensione dell’opera, che aveva il pregio, oltre che della ricchezza dell’informazione, anche dell’originalità e dell’estrema leggibilità; Enzo mi guardò: «Grazie - disse - ma Garboli ha fatto bene a esprimere con chiarezza le sue riserve».


Il mondo letterario di cui Siciliano è stato un esponente di spicco, ha come suo vizio immodificabile la spietatezza reciproca, e Siciliano è stato da sempre perseguitato dall’accusa di dovere la sua fortuna letteraria alla protezione di Alberto Moravia: è fuori di ogni dubbio che la vicinanza e l’amicizia di Moravia per il giovane Siciliano, come sempre accade in ogni rapporto fra intellettuali di diverse generazioni, abbia influito beneficamente sulla sua formazione, ma poi egli ha continuato a volare con le proprie ali; il fatto poi che Siciliano abbia continuato a essere crucciato da questa sorta di persecuzione nei suoi confronti è un’altra dimostrazione della sua vulnerabilità di uomo e intellettuale che pratica una vita e una cultura, per dirla con Saba, completamente onesta.

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