«In Italia se si licenzia è perchè c’è giusta causa». La frase sembra un’ovvietà ma in bocca ad un sindacalista di vertice come Luigi Angeletti, segretario della Uil, assume una sfumatura del tutto particolare. Infatti nessuno meglio dei nostri sindacati sa che qui la causa non è mai giusta. Ogni licenziamento nasconde sempre un intollerabile sopruso del «padrone» e non è mai giustificato, qualsiasi sia la ragione sottostante all’atto. Il quadro si completa con una giustizia del lavoro che spesso e volentieri accoglie, anche contro buon senso, le ragioni del lavoratore, chiudendo così il cerchio della giusta causa fantasma. Non si contano i casi in cui i tribunali abbiano, almeno in qualche grado di giudizio, annullato licenziamenti anche per casi eclatanti quali furti, percosse a colleghe, assenteismo per plateali partite a calcetto o molestie sessuali. Questa condizione di diritto rinforzato nella pratica, rispetto alla teoria della legge, comporta che anche il solo riconoscere l’esistenza della possibilità della giusta causa nello spinoso caso dei licenziamenti Fiat segni una significativa discontinuità con il passato. La mossa di Marchionne è forte e i sindacati «moderati», che hanno siglato l'accordo per Pomigliano, hanno capito che questa volta non si scherzava: non dimentichiamo che il manager è una specie di italiano «geneticamente modificato», il nome è italiano, anche l’aspetto inganna, ma il background svizzero è preponderante. Se la Fiom pensava che con lui valesse la regola della trattativa continua ed estenuante, della firma dell’accordo che apre solo la strada a nuove riunioni e vertici inconcludenti, buoni solo per far «passare la nottata», ha sbagliato di grosso. Stiamo parlando di un signore che non ha avuto timore nel presentarsi con una cambiale in mano a casa dell’arrogante capo della General Motors, uscendone con un assegno di due miliardi di dollari, figurarsi se non aveva previsto la guerriglia della Fiom. La strategia sembra chiara: tolleranza zero per vedere le carte. Se il sindacato oltranzista avesse tentato, come pare abbia fatto, di mettere in atto comportamenti sindacalmente estremi come prova di forza (la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha parlato esplicitamente di sabotaggio) la reazione non sarebbe stata comprensiva. L’obiettivo è duplice e la linea dura è vincente per Marchionne qualsiasi saranno le decisioni dell’inevitabile giudizio che ne seguirà: se otterrà ragione blinderà l’accordo e metterà bene in chiaro che i tempi sono cambiati, se avrà torto si ritroverà in mano una carta formidabile per dimostrare al governo nei futuri tavoli di trattativa che in Italia è impossibile produrre, perchè strutturalmente sotto lo scacco dei sindacati. Si tratta di un punto di svolta importante che deve essere capito: in passato tutte le vertenze alla fine trovavano la generosa tasca pubblica che ci metteva una pezza e la Fiat ne ha approfittato abbondantemente, ora che il portafoglio dello stato è vuoto le regole del gioco sono cambiate e non c’èpiù tempo per i vecchi teatrini, la regola diventerà bianco o nero, aperto o chiuso, stabilimento in Italia o in Polonia. Meglio rendersene conto tutti. Anche Telecom, che al momento ha spostato sotto il tappeto i suoi problemi di eccedenza di personale, prima o poi dovrà rendersi conto del cambiamento di clima.
Gli aiuti statali saranno sempre più un miraggio e gli accordi dovranno essere rispettati sul serio, da tutti.Marchionne l’ha capito, i sindacati moderati l’hanno intuito, sarebbe ora che se ne accorgessero anche gli altri: non solo la Fiom ma anche gli enti locali e le correnti dei partiti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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