Il vigile-sceriffo tenta una strage e si spara

Il sindaco: «L’ho guardato negli occhi, volevo calmarlo. Ma è stato inutile»

nostro inviato a Vogogno (Verbania)
Si tiene d’occhio il paese, tutta Vogogna dal “Vecchio Borgo”, l’albergo-ristorante che si affaccia sulla piazza della Chiesa. Passano, devono per forza passare di qui. Tutti. Una battuta, una pacca sulle spalle e via si riparte. Anche Marino Antonini, anzi solo e semplicemente “il Marino”, per chiamarlo come lo chiamavano qui, da venticinque anni, era passato dal “Vecchio Borgo” ieri mattina. Il passo svelto di chi ha tante cose da sbrigare, tante scartoffie che si era ritrovato sulla scrivania al rientro, giusto ieri, dopo un mese di malattia. Il tempo per mugugnare un buongiorno e giù a testa basta si è infilato lungo il tappeto tutto ciottoli che, dalla Collegiata conduce al municipio, in via Nazionale. Anche se non sembra, quello che abbiamo appena abbozzato è il ritratto del protagonista di una giornata di straordinaria follia. Un uomo, un vigile urbano, per la verità l’unico vigile urbano, l’unica autorità di polizia del paese, che ha puntato la pistola d’ordinanza contro cinque dipendenti comunali, ha sparato all’impazzata senza un perché e senza un perché si è ucciso con un colpo secco di pistola alla testa. «Guarda che casino che ha combinato il Marino», tagliano corto gli ultimi curiosi che indugiano sotto il porticato del palazzo comunale, ma la verità vera non la sa e, probabilmente, non la saprà mai nessuno. Nemmeno Valerio, il fratello di Marino, nemmeno l’anziana madre con cui il vigile viveva a Prata una frazioncina di Vogogna e che i carabinieri stanno confortando mentre scriviamo queste righe. Sette minuti di straordinaria follia culminati con quel colpo secco che ora rimbomba nei discorsi e nelle case dei 1750 abitanti di Vogogna. E così l’enigmatica fine di quest’uomo, si stempera nel miracolo che in quelli stessi sette drammatici minuti si è compiuto. Ci sono i fori dei proiettili nelle porte degli uffici e nelle pareti al primo piano del Municipio, ci sono i cerchi blu disegnati dai carabinieri sul pavimento dove sono stati recuperati i bossoli. Ma a terra, ferito non è rimasto nessuno. Eppure la dinamica, che il sindaco Marco Zago ricostruisce con noi, accompagnandoci sul luogo del dramma, avrebbe potuto e dovuto essere, secondo i perfidi e agghiaccianti canoni di queste brutte storie, la dinamica di una strage. «Erano circa le 14,30, ero appena arrivato in azienda - racconta il sindaco, titolare un’impresa che ha sede a poche centinaia di metri dal Palazzo comunale -, quando mi hanno telefonato dal municipio. Era la signora Paola della segreteria, era terrorizzata, mi ha chiesto aiuto, parlava di spari, di un uomo che voleva fare la strage. Sono uscito di corsa e un paio di minuti dopo ero in municipio. Sono entrato ho cominciato a chiamare una per una le dipendenti, le cinque dipendenti che avrebbero dovuto trovarsi nell’edificio. Nessuno mi ha risposto, un silenzio spettrale. Sono salito al primo piano, all’ufficio anagrafe ho visto i bossoli per terra, i fori dei proiettili nelle pareti e nelle porte e finalmente ho sentito la voce di Paola che si era chiuso nell’ufficio tecnico e che mi ha detto che le altre colleghe erano riuscite a fuggire. Poi sono ridisceso ed è stato in quell’attimo che mi sono trovato di fronte Marino. Stava uscendo dal bagno. Gli occhi stralunati, un’espressione assente. Aveva la pistola in mano. Ma non me l’ha puntata contro. Gli ho urlato: Marino che stai combinando? Ma lui non mi ha risposto, si è chiuso nel suo ufficio. E non una parola, non una frase ha detto ai carabinieri di Premosello che nel frattempo avevano circondato il palazzo e lo invitavano a uscire».


«Ci conosciamo da anni, gli ha detto un appuntato, vieni fuori non fare sciocchezze Marino, non ti succederà nulla» ricorda ancora il sindaco. Ma lui niente. Non una parola. Fino a quel botto secco, quel colpo di pistola con cui dietro la porta del suo ufficio ha deciso di chiudere con tutto e tutti.

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