Alla fine è un verdetto che fa molto comodo alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica e al suo più longevo direttore, Alberto Barbera. Perché il Leone d'Oro è andato a un film statunitense, dal 3 ottobre nelle sale, Joker di Todd Phillips, interpretato da un mastodontico Joaquin Phoenix - «senza di lui non ci sarebbe stato il film», ha detto il regista - il quale è venuto alla premiazione ma, per la Coppa Volpi come migliore attore, è stato superato da Luca Marinelli, appassionato interprete di Martin Eden nell'omonimo film di Pietro Marcello: «Voglio ringraziare Jack London - ha detto l'attore romano - che ha creato questo marinaio meraviglioso e dedico il premio a tutte le persone splendide che sono in mare a salvare altre persone umane: viva l'umanità e viva l'amore!».
Sulla stessa onda Ariane Ascaride che ha vinto come migliore attrice per il film Gloria Mundi, diretto dal marito Robert Guédiguian con il quale, dal 1980, ha interpretato 21 dei suoi 22 film: «Sono figlia di migranti e sono francese. Questo premio è per tutti quelli che dormono per l'eternità sul fondo del Mediterraneo». L'Italia porta a casa anche il Premio speciale della giuria per il documentario delle polemiche quirinalizie, La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco. Difficile capire che cosa la giuria, formata da Stacy Martin, Mary Harron, Piers Handling, Rodrigo Prieto, Shinya Tsukamoto, Paolo Virzì e presieduta da Lucrecia Martel, abbia capito di questo film sui supposti silenzi del presidente Mattarella sulla sentenza di primo grado del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Fatto sta che, con un colpo al cerchio e uno alla botte, la regista argentina e presidente della giuria, protagonista delle polemiche del primo giorno del festival contro Roman Polanski per le accuse di violenza sessuale su una minorenne nel 1977, ha assegnato il Gran premio della giuria proprio al suo J'accuse sul caso Dreyfus che in in Italia sarà distribuito dal 21 novembre da 01 Distribution. A ritirare il premio il suo produttore Luca Barbareschi ed Emmanuelle Seigner, la moglie del regista che non può lasciare la Francia perché verrebbe estradato negli Stati Uniti. Meno incisivo il Leone d'argento per la migliore regia andato a About Endlessness dello svedese Roy Andersson, sequel un po' spento di Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, Leone d'Oro cinque anni fa.
Più interessanti il riconoscimento per la migliore sceneggiatura al film d'animazione cinese No.7 Cherry Lane di Yonfan e il premio Marcello Mastroianni a un giovane attore emergente, andato meritatamente a Toby Wallace per Babyteeth dell'esordiente australiana Shannon Murphy, una delle sole due registe del concorso. A mani vuote sono rimasti i due film Netflix in concorso, Marriage Story di Noah Baumbach e The Laundromat di Steven Soderbergh, dopo il trionfo (e le polemiche degli esercenti) lo scorso anno per Roma di Alfonso Cuarón. Comunque alla fine quello che conta è chi i film li vedrà perché, come ha detto la madrina del festival Alessandra Mastronardi all'inizio della premiazione, «i veri vincitori siamo noi spettatori perché il viaggio dei film nei nostri cuori è molto profondo e questa emozione è il vero motivo perché faccio il mestiere dell'attore».
La serata di gala si è svolta senza problemi dopo che la giornata era iniziata con qualche centinaio di giovani che hanno manifestato contro le grandi navi a Venezia, occupando simbolicamente il red carpet prima di lasciarlo anche con le rassicurazioni di Enrico Franceschini, il ministro «di chiusura» di questa stramba edizione del festival di Venezia che, per la prima volta nella sua storia, è stata aperta da un altro ministro per i Beni culturali, Alberto Bonisoli.
Paolo Baratta, il presidente della Biennale che, salvo probabili prorogatio, termina con questa edizione il suo mandato, ha detto che la Mostra ha segnato «il record di ingressi saliti a duecentomila», prima di lasciare lo spazio al film di chiusura, The Burnt Orange Heresy di Giuseppe Capotondi, con un inedito Mick Jagger.
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