Ci sono delle vittime collaterali nell'emergenza Covid. Nei mesi più duri della pandemia hanno cercato rifugio su internet, fra slot machine e scommesse. Spesso già fragili dal punto di vista economico e psicologico, sono cadute in una trappola sempre più insidiosa che ha trasformato la loro passione per il gioco d'azzardo in ludopatia. Il fenomeno è allarmante da anni, ma il Covid ha peggiorato le cose: prima del marzo 2020 in Italia a giocare abitualmente era poco più del 16 per cento della popolazione. In pochi mesi, a dicembre dell'anno scorso, la quota è cresciuta di due punti percentuali.
Tra questi giocatori il tre per cento circa può essere considerato affetto da vera e propria ludopatia, con punte del 4,6 e del 5,6 per cento nel Sud e nelle isole.
Nei mesi della pandemia il gioco è cresciuto, come ovvio, soprattutto nella sua declinazione digitale. Perché se durante il lockdown, sale scommesse, Bingo e macchinette hanno chiuso i battenti, i loro omologhi sul web hanno rappresentato un'alternativa comoda e immediata. Quando poi il gioco cosiddetto «terrestre» - quello in presenza, insomma ha ripreso a funzionare, il boom è stato inevitabile. E infatti gli italiani che dopo la prima fase della pandemia sono entrati per la prima volta in una sala giochi sono stati l'1,1 per cento. A crescere è stato anche il tempo medio dedicato giornalmente all'azzardo: fino a un'ora in più al giorno spesa a tentare la sorte.
TRIANGOLO MALEDETTO
I dati arrivano dalla più recente ricerca condotta dall'Istituto superiore di sanità in collaborazione con Istituto Mario Negri, Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica, università degli studi di Pavia e università Vita-Salute San Raffaele. Mettono in luce la relazione stretta fra crisi economica, disagio legato alla pandemia e gioco. Un triangolo «maledetto» che ha colpito le persone psicologicamente e socialmente più svantaggiate, ma anche quelle che un tempo avevano meno familiarità con le sale gioco.
Oggi i luoghi fisici deputati all'azzardo sono nuovamente chiusi per decreto, ma l'allarme resta alto. «Durante il lockdown, ma anche nei mesi successivi, il 20 per cento dei giocatori abituali ha aumentato l'investimento in soldi e in tempo spiega Roberta Pacifici, direttore del centro nazionale Dipendenze e doping dell'Iss -. Con la pandemia i centri che seguono le personalità più problematiche hanno chiuso, così molti sono rimasti soli in preda alla loro dipendenza. E il peggio è che il gioco online ha finito per coinvolgere anche persone lontane da questo mondo».
Con la fine del lockdown le cose non sono migliorate. Anzi. «C'è chi si è avvicinato all'azzardo nella speranza di compensare le perdite economiche causate dalla crisi, o anche solo per esorcizzare il disagio vissuto fra marzo e aprile prosegue Pacifici -. Fra loro ci sono molte donne e ragazzi giovanissimi». A confermarlo uno studio inedito dell'Istituto Mario Negri, secondo il quale le giocatrici a febbraio 2020 erano il 5% della popolazione. A dicembre il numero è quasi raddoppiato, raggiungendo quota nove per cento. Impressionanti sono anche i numeri che riguardano i minori. La legge vieta loro di giocare e di tentare la fortuna anche con un semplice gratta e vinci. A dispetto delle norme, però, l'Iss ha calcolato che il 29,2 per cento degli adolescenti fra 14 e 17 anni ha giocato almeno una volta nella vita: si tratta di circa 69mila ragazzini, il tre per cento dei quali mostra già un profilo compatibile con la ludopatia. «In questi mesi l'aumento di disturbi come ansia e depressione è stato esponenziale prosegue Silvano Gallus, dell'Istituto Mario Negri -. Questo incide anche sul gioco, che spesso altro non è che un sintomo di disagi più profondi. A cadere nella trappola sono le persone più vulnerabili, come quelle già affette da altre dipendenze».
Ecco perché la possibile riapertura delle sale gioco preoccupa gli esperti: «I dati potrebbero ulteriormente peggiorare. In Italia ci sono già un milione e mezzo di ludopatici, un altro dieci per cento è considerato a rischio avverte Gallus -. Questo significa che milioni di famiglie già piegate dalla crisi potrebbero avviarsi verso il collasso».
Il mondo del gioco tradizionale, che i tecnici chiamano «terrestre», è fatto di sale scommesse, bingo, casinò e macchinette ospitate nei bar e nelle tabaccherie. Quello digitale è, invece, gestito da portali web specializzati. E corre velocissimo. Basti pensare che a dicembre 2020 i giocatori soltanto fisici erano il 9 per cento del totale (a febbraio dello scorso anno erano il 10,5 per cento), mentre quelli attivi esclusivamente su internet hanno raggiunto il 13% (un anno fa erano il 10%). «Ogni anno in Italia vanno in fumo così 110,5 miliardi di euro. Se pensiamo che la gestione dell'intero Sistema sanitario nazionale ne costa 112, ci rendiamo conto dell'enormità del problema commenta Paolo Jarre, direttore del dipartimento Patologia delle dipendenze della Asl Torino 3 -. Novanta miliardi vengono ripartiti con le vincite, venti sono definitivamente persi. Se questa montagna di denaro restasse in tasca delle famiglie, potrebbe essere usata per acquistare beni di prima necessità».
INCASSI E COSTI
Per questo gli operatori sociali chiedono leggi più stringenti. «Lo Stato guadagna circa dieci miliardi l'anno grazie alle accise sul settore prosegue l'esperto -. Ma il costo sociale della dipendenza è ben più elevato. Eppure per la cura della ludopatia vengono investiti solo 50 milioni di euro l'anno. Una legge ferrea dice che sono proprio i periodi di crisi ad avvicinare le persone più vulnerabili al gioco. «Il legame fra problemi economici e azzardo è noto da tempo conferma Giuseppe Carrà, docente di Psichiatria all'Università Milano-Bicocca -. I periodi di difficoltà fanno aumentare sia i giocatori sia la spesa media. Questo accade soprattutto alle fasce di popolazione più svantaggiata e nelle aree più povere del Paese. Anche se negli ultimi mesi sta riguardando una fetta di popolazione lontana da quelle di cui abbiamo parlato fin qui: i trader finanziari. Il trading online, la compravendita di prodotti finanziari via internet, sta crescendo in modo inedito visto il boom dello smart working e la quantità di persone che vivono in una bolla di isolamento e dipendenza dal lavoro».
Il consiglio è intervenire immediatamente. «Gli approcci terapeutici sono ormai consolidati aggiunge Antonella Somma, ricercatrice della facoltà di Psicologia dell'Università San Raffaele di Milano -. Le cure efficaci sono la psicoterapia cognitiva e comportamentale, ma di solito utili sono anche i trattamenti motivazionali e quelli incentrati sulla psico-educazione e sui feedback personalizzati. Un dato rilevante riguarda però l'accesso alle cure: solo una frazione minima dei giocatori problematici inizia un reale percorso terapeutico».
E spesso il gioco finisce per essere solo un sintomo di altri disturbi. «Dietro il gioco può celarsi una sindrome ansiosa o depressiva conclude Carrà -. Che all'inizio può manifestarsi con sintomi che passano inosservati. A volte con un semplice gratta e vinci».
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