Vita, amori e nostalgie di Sybille Bedford

Vita, amori e nostalgie di Sybille Bedford

Che cos’è un educazione non sentimentale? È un insegnamento dove la vita, ovvero la lotta per affermarsi e/o sopravvivere, non contempla le ragioni del cuore, se non nel modo capriccioso in cui c’è chi si lascia amare, illudendosi che così sarà per sempre, e chi resta in attesa, finché il tempo passa e resta solo il dolce-amaro dei ricordi. Quando Sybille Bedford (1911-2006) si accinse a narrare la propria (Un educazione non sentimentale, Neri Pozza, pagg. 462, euro 15; traduzione di G. Cillario) era una scrittrice affermata, molto amata anche da Bruce Chatwin e Stephen Spender, e però in qualche modo non risolta, biografa e narratrice di vite altrui, sempre bloccata nell’idea di raccontare la propria, l’infanzia e la giovinezza non convenzionali di una figlia del secolo nata in Germania pochi anni prima della Grande guerra, cresciuta fra Italia, Inghilterra e Francia, ovvero in quell’Europa degli anni Venti e Trenta che correva verso l’autodistruzione con la nonchalance di chi crede che a tutto ci sia un rimedio, che tutto sia permesso... Libro di memorie e insieme di finzione, nel loro montaggio, nella selezione, nella reinvenzione che la parola scritta mette al servizio delle vicende raccontate, Un’educazione non sentimentale è il raffinato canto funebre di un’epoca irripetibile, quando la modernità esisteva, ma non era devastante, e viaggiare era ancora un piacere, e degli happy few, i pochi felici anticonformisti convinti di incarnarla: libertà dei costumi, frivolezza economica, nessuna costrizione...
Lì dove L’educazione sentimentale di Flaubert narrava il fallimento di una generazione romantica, il romanzo della Bedford narra quello di una generazione di narcisi, innamorati a vario titolo di sé stessi, mai disponibili per il compromesso, cinici nel loro voler infrangere le regole e al tempo stesso fragili al momento della resa dei conti. La madre di Sybille, che ha sempre preso e lasciato gli uomini come si prende e si lascia un abito, non regge al tradimento del tanto più giovane marito e si ritroverà morfinomane; l’altera e bellissima Oriane, per cui Sybille prova un’adorazione che ha i colori dell’innamoramento, finirà in una clinica per malattie nervose; la severa Toni, autoreferenziale e egoista, chiederà il divorzio per punire il tradimento del suo Jamie, marito sino ad allora fedele, ma anche «castrato»...
In Un’educazione non sentimentale, tutto è fatuo, eppure tutto è drammatico, come se si recitasse una parte in commedia che non è la propria, a cui però non si vuole rinunciare e che comunque si interpreta a meraviglia. Da fuori, lo spettacolo è assicurato, ma a sipario calato dentro c’è solitudine e nevrosi.
Figlia di un barone tedesco, Maximilien von Schoenebeck, il «beau Max» che nei suo tempi gloriosi progettava di far saltare il banco a Montecarlo e, nella sua residenza estiva, teneva una coppia di scimpanzé, Sybille, detta Billi, passa la sua infanzia con il padre: molto più giovane, la madre se n’è andata, è ricca di suo e ora vive in Italia. A lui è restato il castello di famiglia, la cantina con i bordeaux ben allineati, una collezione d’arte da vendere pezzo dopo pezzo, un guardaroba sterminato che, di volta in volta riadattato, vale anche per Billi. È sopravvissuto alla Prima guerra mondiale Max, ma è il superstite di un mondo scomparso e che non tornerà.
La morte del padre riporta la figlia sotto la tutela materna, ma i bambini, si sa, richiedono tempo, attenzione, energie, comportano doveri e per chi non vuole legami e sente fuggire la giovinezza sono un peso. Dopo un breve periodo in Italia, Billi viene mandata a studiare in Inghilterra: la madre progetta di trasferirsi in Francia, si rivedranno d’estate e, le assicura sorridente e svagata, «sarà tutto molto bello»...
Fra Londra e Sanary-sur-mer, l’educazione non sentimentale di Sybille Bedford attraversa gli anni Venti nel segno di un’eleganza trasandata e di una ricchezza incerta, una rendita che nel tempo si assottiglia, un abitudine a spendere che nessuno sa o vuole contrastare. Eppure, si vive ancora con poco, si trovano sempre belle case da affittare, cuoche e domestiche per mandarle avanti, si danno feste, si va in barca, si flirta, l’eterna ronda del piacere dove nessuno si deve fare male e la gelosia e il possesso fanno parte della volgarità, rifiutata, della vita.
Pochi romanzi hanno raccontato così bene questo aspetto innocente e insieme crudele dell’amicizia amorosa, un’algebra delle passioni che si vuole asettica.

E pochi romanzi hanno raccontato così bene l’indolenza febbrile di estati non ancora toccate dal turismo di massa, di tempi dilatati, di spazi vergini, di conversazioni raramente banali, mai noiose, un’estetica dell’abbandono, panica e a suo modo felice.

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