C’è il Faraone (che bara, perché invece di truccarsi si infila una maschera). Poco più in là, all’imbocco di corso Vittorio Emanuele, c’è il gentiluomo del Settecento. Accanto alla Loggia dei Mercanti, un altro Faraone. E qui, sotto le guglie del Duomo, c’è Dante Alighieri. Ovvero Cristi-Florin Sandu, rumeno, ventitrè anni. Vita da statua. Abito candido, faccia bianca, mani bianche, e sotto braccio la Divina Commedia. Immobile, sei ore di fila, sotto il sole che picchia o col gelo che blocca le ossa. «Ma è meglio il freddo, non c’è dubbio. Perché il caldo fa sudare. E il sudore mi scioglie la tintura».
Fare la finta statua nel centro di Milano è un mestiere che non tutti saprebbero fare. Bisogna imparare l’arte della immobilità e della impassibilità. Resistere ai pruriti, alla pipì che scappa («io la faccio prima di cominciare, la mattina, e poi so che fino a quando stacco me la devo tenere»), e soprattutto alla gente che passa e che cerca in tutti i modi di farti alzare un sopracciglio, ridere, scomporti in qualche modo. Dice Cristi-Florin: «Non è facile, no. Io ho imparato da solo, senza andare a scuola di teatro. Mi ha insegnato Dio». E intanto si sveste e si pulisce, e dietro il velo della biacca riaffiora un po’ alla volta la sua fisonomia da ragazzino.
«Ci sono giorni che va male e giorni che va bene». Ci sono i bambini che vengono, che lo guardano perplessi, domandandosi se sia l’uomo a sembrare una statua o la statua a sembrare uomo: ma poi trotterellano via, e non buttano neanche un nichelio nel cestino di vimini. Ci sono i turisti, che si fanno ritrarre accanto al Grande Dante con la stessa convinzione che se fosse la Torre di Pisa o San Siro, insomma un pezzo come un altro del loro tour italiano. E purtroppo ci sono i ragazzotti deficienti, o i tizi mezzi ubriachi che lo avvicinano con la birra in mano, e gli alitano in faccia «Io lo so che a casa tua bevi anche tu!». E lui, Cristi-Florin, non batte neanche le palpebre. «Quando va bene, cinquanta euro al giorno. Quando va male, venti o quindici». Però i posti da statua sono ugualmente contesi, e una volta alla settimana bisogna fare la coda prima dell’alba, dai vigili in piazza Beccaria, per farsi assegnare la piazzola. É nato un gergo delle piazzole: «Questa è Duomo uno. Quella dietro l’angolo, Duomo due. Eccetera».
Arrivi qui già vestito da Dante? «Ma figurati... Mica posso prendere la metropolitana conciato così, ti pare?». La metamorfosi del rumeno smilzo in Dante Alighieri si compie in un anfratto dei portici, dietro le vetrine di Autogrill. Il trolley col costume, il barattolo di Crema Clown. Spariscono i jeans e le scarpe da tennis, e compare il grande poeta. Dalle undici alle due di pomeriggio. Un’ora di pausa. Poi di nuovo, dalle tre alle sei. Il fiume umano di piazza del Duomo gli scorre addosso senza interruzione. A guardarlo di nascosto, un po’ a lungo, si scoprono i trucchi del mestiere: un braccio che ogni tanto si sposta, l’equilibrio che passa da una gamba all'altra. Ma si scopre anche che, trucchi o non trucchi, all’imbrunire la fatica la sente anche lui, e la statua diventa sempre meno immobile, si muove, si agita. É ora di andare a casa.
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