Le vite degli italiani convertiti al Corano

Chi sono, cosa fanno e dove abitano gli italiani che hanno abbracciato l'islam. Un viaggio fra fedeli sospettosi e muri di omertà

Le vite degli italiani convertiti al Corano

Il primo impatto è di diffidenza. Con rare eccezioni, un italiano convertito all'islam prima di tutto si guarda le spalle. I tempi sono ostili, il contesto sociale non favorisce la comprensione, sospetti e pregiudizi sono cordialmente ricambiati. Incrostazioni dure da scalfire. Che cosa spinge un italiano, nato e cresciuto nel cuore del cristianesimo, ad avvicinarsi all'islam? Che cosa l'ha convinto? Com'è cambiata la sua vita? Domande che molta gente si pone. Le risposte restano perlopiù chiuse nel privato o nei centri islamici dove si pronuncia la shahada, la testimonianza di fede che costituisce il primo dei cinque pilastri dell'islam.Le conversioni stanno aumentando. Non c'è una stima precisa, sarebbero decine di migliaia ogni anno. Hamza Roberto Piccardo, il più famoso degli italiani devoti ad Allah e Maometto, rivela di ricevere decine di lettere di ragazzi e giovani incuriositi: «Sono persone partecipi ed equilibrate, non arrabbiate, hanno un vuoto spirituale e capiscono che l'islam può riempirlo». I centri islamici non raccolgono dati: «Molti si fanno vivi quando vogliono compiere il pellegrinaggio rituale e richiedono un'attestazione di fede a un centro islamico», dice Piccardo. Il progetto «Le religioni in Italia» del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni), diretto da Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli, registra un'impennata di cittadini italiani che si dichiarano musulmani, in parte stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza dopo 10 anni di permanenza regolare, in parte italiani convertiti. E questi sono il frutto di travagli personali o della delusione davanti a interrogativi che duemila anni di cattolicesimo non sembrano risolvere. Sempre che non si tratti semplicemente di ottemperare il precetto della shahada per sposare una musulmana.Paolo Bilal Abd-el Karim ha 51 anni, vive a Bolzano, è figlio di immigrati del Sud e da piccolo ha fatto comunione e cresima. «Ricercavo una verità racconta -, leggevo libri, andavo su internet perché nella Bibbia restava qualche contraddizione. Credevo in un Essere superiore senza frequentare la Chiesa. Quando ho aperto il Corano ho avuto chiarezza fin dalle prime pagine. Nell'islam ogni contraddizione è caduta».

TUTTO COMINCIA QUANDO...

Gabriele Ibrahim Abd an-Nur Iungo, milanese trapiantato a Torino, a soli 30 anni è un personaggio di spicco dell'islam «italiano». Ha abbracciato Allah mentre frequentava filosofia a Pavia, lo scorso giugno è tornato dall'Arabia Saudita dopo cinque anni di studi all'università islamica di Medina e continua ad approfondire la dottrina coranica in istituti islamici in Gran Bretagna. Potrebbe diventare uno dei primi imam italiani. «L'islam si contrappone in modo efficace al disordine delle forme dei tempi spiega -. Corrisponde a un'esigenza spirituale alla quale nell'epoca moderna il cristianesimo fatica a rispondere».Il percorso di Silvia Layla Olivetti, scrittrice veneziana che ha raccontato storie di convertiti nel libro «Diversamente italiani», è cominciato da ragazza. «Il mondo arabo mi incuriosiva ma non trovavo libri per capire se l'islam era la mia religione. La svolta è avvenuta dopo l'11 settembre quando il web si è riempito di informazioni». Due elementi in particolare l'hanno convinta: «L'islam si accorda con la scienza. Fu una vera rivelazione: nel Corano, per esempio, si accenna all'embriologia e al big bang. L'altro aspetto che mi ha aperto l'anima è stato il rapporto diretto con Dio. Non devo più arrivarci attraverso un intermediario che agisce al suo posto. È più intimo e autentico».Una curiosità intellettuale che ha bisogno di certezze, stabilità, di rapporto diretto con Dio in una società «liquida» e plurale; un desiderio di contrastare una modernità ostile al sacro. Per molti ragazzi il primo contatto avviene a scuola dove ormai - così dice Piccardo - quasi il 20 per cento degli alunni è musulmano. «I motivi che portano gli italiani all'islam sono diversi dice Iungo -: amicizie, cultura, scelte, viaggi. Quando ci incontriamo scopriamo tante storie diverse. Ci sono operai, docenti universitari, ex ambasciatori, forze dell'ordine e tanta gente normale. È una realtà trasversale. Qualcuno entra nell'islam anche perché sposa una musulmana, ma spesso con il tempo l'iniziale adesione di forma diventa sostanza».

PARTITA IVA E CORANO

Conversione è un'etichetta che non piace: si ritorna, o meglio si entra o si abbraccia l'islam, proposto come il compimento del cristianesimo. «La tradizione monoteistica ebraico-cattolica viene mantenuta - spiega Bilal -, non c'è apostasia perché l'islam è compassione, misericordia, pace. Quando è uscito il libro di Papa Francesco Il nome di Dio è misericordia ho reso lode ad Allah, perché il misericordioso è uno dei suoi 99 nomi sempre usato nelle preghiere». E com'è la vita del convertito? Iungo studia, tiene conferenze e seminari e traduce testi islamici. Silvia Olivetti scrive libri: l'ultimo, intitolato Isis, diario di un jihadista italiano, ha fatto molto rumore. Bilal invece è un artigiano che combatte per tenere in piedi la partita Iva. Tutti e tre si sono sposati dopo il passaggio alla nuova religione e hanno scelto un coniuge musulmano. «Cercavo una persona con cui condividere anche i principi religiosi sintetizza Olivetti -. Mia madre era atea però mi mandava al catechismo. Un comportamento incoerente che non voglio ripetere. Non voglio scendere a compromessi in nome del quieto vivere».A Torino Ibrahim Iungo ha trovato un clima sereno: sembrano passati i tempi difficili di quando San Salvario era un ghetto pericoloso. Sono più guardinghi a Bolzano, dove nei mesi scorsi sono stati arrestati alcuni sospetti jihadisti. Racconta Bilal: «Sul lavoro non mi interessava fare sapere queste cose, adesso chi mi conosce lo sa. Dico le preghiere rituali senza espormi». Vita dura invece per una donna con il velo come Silvia Olivetti: «Per la strada chi non mi conosce mi guarda male, e chi sa dei miei libri anche peggio. Ho preso insulti e sputi dove camminavo. A scuola invece i miei tre figli non hanno problemi: hanno una dieta senza maiale e la religione la imparano a casa. Con gli altri bambini giocano e si divertono, nessuno sottolinea le differenze».Dunque molti convertiti preferiscono tenere un profilo basso: lo conferma anche Ibrahim Iungo. Non sono «musulmani moderati», un'espressione che nessuno tollera: è che vogliono evitare occhiatacce, battute, polemiche, sospetti.

FAMIGLIA CHE DOLORE

«Il musulmano è ancora l'uomo nero per tanta gente s'indigna Silvia Olivetti che non rinuncia mai al velo -. Vedono una barba e pensano al fantasma di Bin Laden. Ma la pericolosità non dipende dall'adesione alla fede quanto dalla capacità di relazionarsi con la società. È dall'esclusione sociale, dalla mancata integrazione che nascono le scelte scellerate. L'Italia che rivendica diritti per tutti fatica ad accettare il diverso».Paolo Bilal a Bolzano ha fondato la Casa della shahada. «È un punto di incontro per chi non ha riferimenti e desidera approfondire. Teniamo corsi e lezioni, chiamiamo gli imam e impariamo i pilastri della nostra nuova religione». Studiare è un imperativo. E affidarsi agli imam, i sapienti. «I centri islamici devono essere frequentati di più dice Iungo -. Le moschee sono centri di vita e anche di assistenza sociale: a Parma si distribuiscono cibi e vestiti, a Roma e Milano è stata organizzata una pulizia del quartiere. Spesso si svolgono attività per i bambini. Si insegna la dottrina vera, si aprono canali di studio e si condividono testi sapienziali che aggrediscono i capisaldi teorici della propaganda jihadista. Dove c'è un luogo di incontro si forma un argine alla propaganda settaria». Ma per un italiano convertito le difficoltà maggiori restano in famiglia. «Quando mia madre, atea, capì che la mia non era una stravaganza ma una scelta consapevole, è cominciato un progressivo allontanamento ricorda Silvia Olivetti -. Molti mi scrivono chiedendo consigli su cosa fare. E io dico: parlatene prima. E date sempre ai familiari la possibilità di dire la loro. Anche se alla fine l'allontanamento reciproco è abbastanza inevitabile».

A Bilal è andata diversamente: «Non ho sbattuto la verità in faccia a nessuno, i miei genitori hanno accettato un cambiamento già avvenuto. Gliel'ho detto prima di sposarmi. Adesso mi spiego tante cose, ha esclamato mia mamma, che mi aveva visto rinunciare a carne di maiale e alcolici». Niente wurstel e birra: in Alto Adige è questa la vera abiura.

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