Di corporatura era minuta ma di carattere inversamente proporzionale al fisico. Vivace, decisa, caparbia. Un peperino di donna, bruna, sempre elegantissima nei suoi prediletti tailleur, un viso grazioso e piccante illuminato dagli occhi scuri. Al Giornale, dove rimase fino a quando vi rimase Indro Montanelli, Vivianne Di Majo era arrivata al tempo della fondazione, presentata dal critico letterario Giorgio Zampa. Cominciò con una rubrica d'antiquariato. L'arte ce l'aveva nel sangue, ereditata dal padre, appassionato collezionista: Campigli, Carrà, Casorati. Con quei dipinti sotto gli occhi, la giovane Vivianne avrebbe voluto frequentare l'Accademia di Brera ma l'ambiente artistico era ancora visto con sospetto dai genitori di una fanciulla borghese, perciò lei ripiegò su lettere, laureandosi alla Statale di Milano. Sposata con un noto ricercatore in neurobiologia, collaboratore di Rita Levi Montalcini, Vivianne Di Majo trascorse un periodo negli Stati Uniti e rientrò in Italia a metà degli anni Sessanta. Anni intensi in cui lavorò come critica d'arte e collaborò con notissime gallerie milanesi. Nel 1975 il rapporto con il Giornale, da esterno divenne interno: responsabile della terza pagina, Vivianne Di Majo scriveva di cultura, costume e società. La rubrica settimanale Eva contro Eva le valse nel 1985 il riconoscimento giornalistico Il Premiolino.
Ai suoi impegni si aggiunse poi la pagina dedicata ai libri e successivamente l'inserto settimanale Lettere e Arti. Colpita da vari lutti familiari, Vivianne Di Majo sapeva bene che cos'è il dolore.Domizia Carafòli - 1 novembre 2006
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