«Voglio dare un nuovo menù»

Ha lasciato Cracco per tornare dove partì da stagista

Coerentemente al progetto, non poteva che essere un torinese di Giaveno, a prendere il timone del simbolo della rinascita culinaria in città. Nel 2017, Matteo Baronetto per un ventennio, braccio destro di Carlo Cracco compirà 40 anni e il ristorante Del Cambio ne festeggerà 260. Visto che l'ambizione dichiarata dello chef è creare «qualcosa che duri nel tempo», è il caso di partire da qui.

Baronetto, era tempo di tornare a casa.

«Dopo 14 anni a Milano, città che mi dato tanto, avevo voglia di Piemonte e Torino non solo nei fine settimana. Quando passeggiavo davanti al Cambio, non riuscivo a capire come fosse decaduto in quel modo. Ecco perché quando nel 2013, l'imprenditore Michele De Negri mi ha illustrato questo fantastico concept, chiedendomi di svilupparlo, non ho avuto dubbi. Poi, forse era destino: giusto venti anni prima, ero stagista in quelle cucine dove oggi guido la brigata».

Ha avuto coraggio. Torino era considerata triste, chiusa, con pochi locali

«Dico sempre che quanti lo pensano non sono mai venuti a vederla, soprattutto nell'ultimo triennio: sta diventando ancora più bella, con tanti turisti, e un sacco di situazioni legate al wine&food, un po' in tutte le zone. Poi è a misura d'uomo e non si svuota nel week end come succede a Milano».

Il pubblico è diverso? Ovviamente generalizziamo.

«Quello torinese è più attento, più conservatore e ha una maggiore cultura del cibo quindi si attende che un ristorante non sbagli sulla tradizione. Quello milanese è più veloce nel consumo, più aperto di natura e ama cambiare locale. In definitiva, qui devi curare molto di più i clienti mentre a Milano ci si può permettere immediatamente una maggior licenza creativa».

Il «Cambio» è considerato il mito del passato e il simbolo del presente. Le basta?

«A me piacerebbe essere il volano perché nascano sempre più locali importanti, moderni. Ricordo che nel 2000 - quando Cracco aprì il suo locale, in via Hugo, grazie agli Stoppani Milano aveva bisogno di una rinfrescata nell'alta ristorazione e così fu. Fu il vero motore del cambiamento come vorrei esserlo io a Torino, che potrebbe tornare al periodo d'oro degli anni '80».

Al di là che ha avuto il coraggio di rivisitare con successo la Finanziera e creare una geniale Insalata piemontese, su quale piatto rischia un cuoco che lavora a Torino?

«Gli agnolotti alla piemontese: ricetta nei sacri testi dell'Accademia della Cucina, manualità per la pasta, scelta del ripieno e del sugo di carne... Se sbagli qualcosa, non ti perdonano».

mb

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