"Voglio i soldi del Dottor Zivago"

Irina: «Mia madre Olga non sposò Boris e lui non fece testamento. Il suo contributo al romanzo fu però decisivo, per questo finì anche nel gulag. Ma a noi non è toccato niente»

Vive appartata a Parigi e dall’alto dei suoi 79 anni guarda disillusa alle miserie della vita: «L’esistenza è breve, io ho fatto la mia parte, di contese e guerre in carta bollata non voglio più saperne». Irina Ivinskaja è la figlia di Olga, la «Lara» del Dottor Živago. Se il romanzo di Boris Pasternak uscì clandestinamente dall’Urss, arrivò in Italia e fu pubblicato, lo si deve al coraggio di Sergio D’Angelo, l’emissario di Giangiacomo Feltrinelli, e all’abnegazione di Olga, la donna amata da Pasternak. Olga fu sempre al fianco del suo uomo, lo spronò nei momenti difficili, andò persino al posto suo agli incontri con i preoccupatissimi dirigenti del Pcus, il Partito comunista, che volevano bloccare il capolavoro. Tenne sempre duro, Olga, e con lei tenne duro la figlia Irina.
Una parte difficilissima e quasi eroica. Eppure la ruota della storia sembra averle travolte: relegate in un angolo, dimenticate, espropriate di tutto, in guerra con l’ultimo dei figli di Pasternak ancora in vita, l’ottantatreenne Evgenij. «Alla fine - spiega lei - Evgenij ha portato via anche l’archivio di famiglia, i manoscritti, i ricordi di una vita. Eppure Evgenij non vide nascere quelle opere, non sa nulla della gestazione del Dottor Živago, in quel frangente degli anni Cinquanta era da un’altra parte. Mia madre invece quella storia la visse da protagonista e io con lei». Olga oggi non c’è più e tocca a Irina ricostruire quella vicenda, mentre a Milano si preparano i festeggiamenti per i cinquant’anni del Dottor Živago, pubblicato in prima mondiale dalla Feltrinelli il 23 novembre 1957.
A Milano, Evgenij sarà presente, Irina no: «Ho le mie ragioni, si sposa mio figlio, ma poi non voglio rivedere Evgenij, è una persona che non mi piace, meglio rimanere qui a Parigi, anche se mi avevano invitata». Meglio la distanza. Con Sergio D’Angelo, Evgenij Pasternak ha ingaggiato addirittura un vero e proprio duello verbale a Mosca, in occasione della presentazione dell’edizione russa del libro del giornalista italiano: Il caso Pasternak (Bietti editore, con prefazione proprio di Pasternak junior).
La Ivinskaja sta con D’Angelo. «È una persona straordinaria. Se Il dottor Živago arrivò in Occidente lo si deve a lui». Pasternak gli consegnò il manoscritto nella dacia di Peredelkino il 20 maggio 1956 e glielo affidò con un messaggio trepidante: «Questo è Il dottor Živago, che faccia il giro del mondo». Evgenij contesta anche questa versione: il testo sarebbe stato dato dal padre durante una visita ufficiale organizzata dall’Unione degli scrittori sovietici e solo «per conoscenza». La Ivinskaja sorride: «Evgenij non sa come andarono le cose. Boris diede il libro a D’Angelo perché lo portasse fuori dalla Russia».
Ma questo è solo l’incipit. Il resto della storia è anche peggio: «Il libro uscì in Italia e immediatamente in molti altri Paesi. Il successo fu enorme, ma il regime bloccò il pagamento dei diritti d’autore. Pasternak non riceveva un rublo. D’Angelo cercò di aiutarci e di far avere a Pasternak, tramite noi, quel che gli spettava o almeno una parte. Con giri assai complicati e avventurosi arrivarono a destinazione due pagamenti». Con ogni probabilità il Kgb sapeva e taceva: il poeta era un monumento mondiale, troppo ingombrante per essere attaccato brutalmente. Certo, nel 1958 non potè andare a Stoccolma a ritirare il premio Nobel; poi fu espulso all’unanimità dall’Unione degli scrittori e replicò con un biglietto fiero e profetico: «Non mi aspetto giustizia da voi. Mi potete fucilare e deportare, potete fare quello che volete. Vi perdono in anticipo. Ma non abbiate fretta. Non ne ricaverete né fortuna né gloria. E ricordatevi che in ogni caso fra qualche anno sarete costretti a riabilitarmi». Nel 1960 però Pasternak muore. E quel velo di protezione cade.
A fine luglio 1960 una giovane coppia - lui italiano, lei slovena - giunge apparentemente per turismo a Mosca. All’interno dell’auto, un Maggiolino Volkswagen, i due nascondono in pacchetti una bella quantità di rubli. Dopo un lungo peregrinare, i soldi vengono consegnati a Olga che li chiude in una valigia, affidata poi all’ignara sarta che abita al piano di sotto. È lì che a colpo sicuro fa irruzione il Kgb. Risultato: Olga e Irina partono per il gulag. «Io sono rimasta nel gulag due anni, fino al 1962, mia madre per quattro, fino al ’64. Che fanno otto se si conta pure quelli passati in campo di concentramento all’epoca di Stalin». Dunque, le due donne pagarono sulla loro pelle la fedeltà al talento e all’umanità di Pasternak.
Ma nessuno le ha mai ringraziate. Anzi. «Negli anni Sessanta - riprende Irina - i figli di Pasternak, Leonid e Evgenij, stabilirono di darci una parte delle royalties incassate. Sia chiaro, noi non avevamo alcun titolo per reclamare quel denaro, mia madre non aveva mai sposato Boris, inoltre lui non aveva fatto testamento. Però credo che qualche merito di tipo morale mamma potesse rivendicarlo. Era stata sempre con lui, era andata nel gulag per lui, e io con lei. Invece, alla fine non ci è mai arrivato nulla. Ci hanno cancellato, non viene riconosciuta la parte che mamma svolse, gli incontri con i gerarchi, la lettere spedite a Kruscev, la paura, i sentimenti, la deportazione».
Evgenij ora fa di più: addebita proprio a D’Angelo e alla sua presunta imprudenza nel far viaggiare quei rubli, il motivo dell’arresto di Olga e Irina. D’Angelo annuncia querela. Irina prende le sue difese: «Ma no, dobbiamo a lui il salvataggio del capolavoro che il regime cercava di boicottare in tutti i modi, brigando infine per pubblicare una versione manipolata e filosovietica che avrebbe tradito lo spirito dell’opera».
La figlia di «Lara» sospira: «Ho pubblicato un libro, Pasternak e Ivinskaja, in cui ho spiegato la storia del rapporto fra mia madre e lo scrittore e ho descritto i sentimenti, complessi, che mi legavano a lui. Ma ormai per quel che riguarda l’aspetto materiale di quella vicenda, non mi aspetto più nulla. La vita è un soffio, ormai sono sulla soglia degli ottanta, non vale la pena continuare a litigare per i soldi. Non me li hanno dati, soprattutto non hanno dato nulla a mia madre che ormai è morta da dodici anni. Perché continuare una battaglia ormai insensata?».
È andata così. «A me interessa essere stata dalla parte della verità. La storia della pubblicazione del Dottor Živago è una storia d’amore e di temerarietà. Non ci furono complotti, come Evgenij adombra, non ci furono doppi giochi e nemmeno ripensamenti da parte dell’autore». Ci fu invece una lettera di Pasternak a Feltrinelli, un biglietto in cui chiedeva la restituzione del manoscritto. Furono Olga e D’Angelo a convincerlo a firmare: sapevano che il testo era ormai al sicuro e che nessuno avrebbe potuto fermare la pubblicazione.

Per questo gli suggerirono di accettare e di scrivere quelle parole, senza alcun valore. Ora Evgenij mette nel conto pure quell’episodio: la coscienza di Boris sarebbe stata violentata. «Ma no - è il congedo di Irina -, in questo modo lo salvarono. Mia madre però non riuscì a salvare se stessa. E me».

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