Se uno non sente i brividi quando Ornella Vanoni fa irruzione nel duetto con Gino Paoli, alla seconda strofa di Ti lascio una canzone , vuol dire che ha un sasso al posto del cuore. E questa è una ovvietà. Meno ovvio è che lei, Ornella, alla fine di una lunga chiacchierata sui suoi ottant'anni, faccia un paragone di lucidità assoluta: «Ho dovuto lasciare la mia storia casa di Largo Treves a Milano. Ho pianto per un mese poi basta. Sono altre le cose su cui piangere».
Quali?
«Gli affetti. Gli abbracci. La tenerezza, la compassione, gli orrori del mondo. Gli oggetti hanno la loro importanza, ma vanno e vengono. A me piace anche la casa dove abito adesso. Le vere vittime del mio trasloco sono i tassisti, che quando passano in largo Treves non possono più dire ai passeggeri: ecco, lì abita la Vanoni».
La ragazza con i capelli rossi compie ottant'anni, con la leggerezza di qualche brontolio («Ottant'anni! Cos'è, dovrei fare i salti di gioia? É chiaro che qualche acciacco c'è!») ma con l'allegria di ripartire, di rimettersi in tournee per starci fino a marzo, la routine vagabonda dei teatri e degli alberghi, con Un filo di tacco, un filo di trucco , recital e racconto, i classici senza i quali non la lascerebbero uscire dal palco e le riflessioni, le battute, le improvvisazione. Oggi esce il cofanetto Più di me Più di te Più di tutto , e anche questo è un omaggio a se stessa e alla propria carriera impareggiabile. E dentro, nello spettacolo e nel triplo album, c'è una storia d'amore durata una vita e finita male. L'amore non per un uomo ma per una città.
Cosa c'è di Milano nel suo spettacolo?
«Ci sono io. Cioè tutto. Io sono Milano. Più di me, solo la Madonnina».
Ma a lei Milano non piace più.
«Perché, a te piace?»
Quand'è che si è rotto qualcosa? C'è un momento, una data precisa?
«Certo che c'è. Mani Pulite, il 1992. Venivamo dagli anni Ottanta che io ho vissuto e mi ricordo come anni bellissimi, allegri, pieni di cose che succedevano. Invece all'improvviso ci hanno detto che era tutto falso, che dietro quel benessere c'era solo il crimine. Milano è andata in depressione, perché non solo le persone si deprimono. E non si è più ripresa. La mia amica Mariangela Melato, che è morta troppo presto, in uno spettacolo disse dopo la Milano da bere abbiamo la Milano da vomitare».
Parole forti.
«Aveva ragione».
Forse non è solo Milano a passarsela male.
«Certo, c'è un'Italia piena di guai, dove a Venezia si fannno entrare navi colossali solo per arricchire i commerci, dove Pompei cade a pezzi, e potremmo andare avanti. Ma io penso a Milano. Vedi, Milano è una piccola città, fatta di piccoli spazi. A Roma sei in taxi, bloccato in un traffico infernale, poi all'improvviso curvi e ti trovi nello splendore di Villa Borghese, e ti si apre il cuore. Ma a Milano non c'è una piazza del Popolo. Ha una piazza San Babila dove ormai non si vede neanche più la facciata della chiesa, prima ci hanno fatto il laghetto con la terrazza, poi quel bunker nero per vendere le felpe...».
Non c'è speranza?
«Perché dovrei avere speranza, a cosa dovrei attaccarmi? Vedo i giovani disperati, la gente in coda sotto la statua di San Francesco per mangiare, e non ci sono solo gli stranieri».
Tutto negativo?
«Certo, poi ci sono questi nuovi grattacieli, bellissimi, ma chi andrà ad abitarci? Sono mezzi vuoti. Un mio amico è andato a informarsi per un appartamento, gli hanno chiesto una cifra tale che lui ha lasciato stare.
Lo hanno inseguito, alla fine si sono accontentati della metà pur di vendere. La speranza è importante, ma di speranza si può anche morire ».Eppure, se a ottant'anni la Vanoni è ancora qui, a Milano un po' di speranza c'è.
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