La Mostra del cinema di Venezia si è aperta con la consegna del Leone d'oro alla attrice Sigourney Weaver. Red carpet d'eccezione. A fare gli onori di casa il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, alla sua prima Mostra del cinema e il direttore Alberto Barbera. Le motivazioni del premio sono le seguenti: «per aver saputo costruire ponti fra il cinema d'autore e i film che dialogano con il pubblico in forma schietta e originale». E ancora: «ha imposto un'immagine di donna sicura e determinata, dinamica e tenace, non senza lasciar trapelare, con sfumature sempre diverse, una sensibilità femminile di intenso magnetismo».
La Weaver si è commossa: «I miei genitori sono rimasti stupiti dal mio successo, credevano che lo show business mi avrebbe schiacciata. In realtà ho sempre avuto un piano B, all'università, a Yale, le persone pensavano che volessi fare tv ma io volevo lavorare in pasticceria o da un fioraio per poter toccare i soldi anche se non li avevo. Non sapevo cosa avrei fatto. I miei amici mi offrivano parti in spettacoli in teatri off Broadway bruttissimi. Quando ho ottenuto il lavoro in un teatro serio mi sono detta: però... allora si può anche fare come lavoro». Poi la prima delle immaginiamo innumerevoli dichiarazioni pro Kamala di questa Mostra: «Sono entusiasta della candidatura di Harris. Pensare anche solo per un momento che il mio lavoro, i miei ruoli possano avere qualcosa a che fare con la sua ascesa, mi rende molto felice».
Lunedì 2 settembre sarà consegnato al regista australiano Peter Weir il secondo Leone d'oro alla carriera di questa edizione. Le motivazioni ne mettono in luce la modernità nell'affrontare temi come «la crisi degli adulti nelle società consumiste, le difficoltà dell'educazione dei giovani alla vita, la tentazione dell'isolamento fisico e culturale». L'attimo fuggente, insomma, e Truman Show. I due Leoni alla carriera hanno qualcosa in comune, oltre al fatto di aver lavorato insieme: sono stati precursori dei cambiamenti, non sempre in meglio, della nostra società.
Lei interpreta la donna forte dei nostri tempi fino dai giorni in cui l'emancipazione ha avuto realmente inizio. Weaver ha interpretato ruoli che si credeva fossero riservati agli uomini. Ma anche una donna può salvare il mondo. Lui ha colto la nascita dei nuovi media, della vita virtuale, della televisione che si intromette nel privato e lo rende spettacolo.
Sigourney Weaver ha saputo ritagliarsi ruoli all'occorrenza da maschio fin dall'inizio della carriera. È stata una donna forte, anzi fortissima, capace di prendere a pugni l'alieno nella saga di Ridley Scott. Ripley-Weaver ci salva da un distruttore di mondi mosso da una sola esigenza: nutrirsi; e da un solo obiettivo: uccidere. Alleata del diavolo in persona in Ghostbusters. L'incontro tra Weaver e Weir avviene in Un anno vissuto pericolosamente dove Weaver interpreta un'assistente dell'addetto militare presso l'ambasciata britannica di Giacarta nel periodo del colpo di stato comunista contro il presidente Sukarno, golpe affogato nel sangue dall'esercito regolare. Un film duro, bandito dall'Indonesia per quasi vent'anni, in cui Weaver vive pericolosamente. Donna forte anche nella vita, licenzia la sua agente dopo essere stata convinta a rinunciare al ruolo da protagonista in Lezioni di piano di Jane Campion.
Veniamo a Weir. Non bisogna dimenticare i film australiani. Le macchine che distrussero Parigi, l'esordio, mette in luce un'estetica paragonabile a quella degli Angeli dello sterminio di Giovanni Testori. Il paragone è ardito, vista la distanza geografica, temporale e culturale. Eppure. Le macchine distruttrici, dal look futuristico, richiamano le motociclette distruttrici del romanzo apocalittico di Testori. L'apocalisse, legata al sapere ancestrale degli indigeni australiani, è al centro di L'ultima onda, un film di culto. Poi c'è Picnic a Hanging Rock: ragazze di un college femminile spariscono nel nulla di un massiccio roccioso. E si fa strada l'ipotesi di un sacrificio rituale per divinità sconosciute.
Il passaggio dall'Australia a Hollywood produce film di successo senza cedimenti qualitativi. Tutti ricordiamo L'attimo fuggente con Robin Williams professore di una classe di ragazzini infatuati della poesia. Risale al 1998 l'idea di The Truman Show, un reality nel quale il protagonista è inconsapevole di vivere in una trasmissione televisiva, e che la sua esistenza è una menzogna dall'inizio alla fine, pura fiction tranne le sue emozioni. Il primo Grande Fratello, edizione olandese, risale al 1999. Quella italiana è stata trasmessa nel 2000. I social network non erano ancora entrati nell'epoca d'oro. I primi reality si erano affacciati, da poco, su Mtv. Weir ci ha mostrato il futuro: tutti, volenti o nolenti, come il povero Truman, avremmo avuto il famoso quarto d'ora di celebrità.
Tutti avremmo desiderato essere visti e vedere gli altri, realtà o finzione poco conta. Weir non si ferma alla sociologia e arriva alla poesia: chi non si sente, a volte, intrappolato come Truman, un fantastico Jim Carrey?
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