da Venezia
Sotto tono ma nervosa, o forse nervosa perché sotto tono. Alla fine la 65ª Mostra s'è chiusa con un onesto compromesso sul Leone d'oro, andato al bel The wrestler di Danner Aronofsky, starring un vibrante Mickey Rourke. Tuttavia il presidente della giuria, Wim Wenders, con gesto inusuale, ha voluto esprimere pubblicamente a «little complain», un piccolo disappunto, a causa del regolamento che vieta di abbinare i tre premi principali alle Coppe Volpi per la migliore interpretazione. Esibendo un tono grave, nonostante l'abito piuttosto ridicolo (un completo nero con losanghe rosse stile carabinieri su cravatta purpurea recante la scritta «L'immagine è una creazione pura dello spirito»), il regista tedesco ha scandito sotto lo sguardo stupefatto di Müller e Baratta: «La giuria è un corpo con sette corpi, sette anime e quattordici occhi. Non vi nascondo che in alcuni di noi ci sono cuori infelici e insoddisfatti. Per questo, vi prego, ripensate le regole». Poteva finire lì, invece no. Subito dopo, in conferenza stampa, ha annunciato che non siederà più in una giuria «per il resto della mia vita». Poi, sfiorando la gaffe, ha ulteriormente precisato che il discorso era generale, insomma non intendeva sminuire il premio andato a Silvio Orlando «per la sua fantastica interpretazione». Meno male.
Per il resto è andata come si sapeva sin dal mattino: a Venezia i segreti durano poco. Leone d'oro, appunto, a The wrestler. Leone d'argento per la migliore regia al russo Soldato di carta di Aleksei German jr., pure destinatario dell'Osella per la migliore fotografia. Premio speciale della giuria all'etiope Teza di Haile Gerima, laureato anche per la migliore sceneggiatura. Coppe Volpi a Silvio Orlando per Il papà di Giovanna e alla francese Dominique Blanc per L'autre. Premio Marcello Mastroianni (migliore attrice emergente) all'americana Jennifer Lawrence per The burning plain. Leone speciale per l'insieme dell'opera (facoltativo) al tedesco Werner Schroeter. Infine l'italiano Pranzo di Ferragosto, «dell'esordiente stagionato» Gianni Di Gregorio, 59 anni, s'è aggiudicato il Premio De Laurentiis alla miglior opera prima, consistente in 100mila dollari da dividere tra regista e produttore. Un altro piccolo dispiacere per Müller, venendo il film dalla Settimana della critica, sezione autonoma.
Preceduta da una pioggia che ha portato l'umidità alle stelle, la cerimonia è corsa via veloce, senza intoppi. «Madrina bagnata madrina fortunata», aveva esordito la russa Ksenia Rappoport, sempre bella e regale, teorizzando che «non importa se un film vince e no, quello che arriva dal cuore al cuore ritorna». Vallo a dire a chi ha perso. A fare da sottofondo musicale un estenuante tango, mentre l'uno dopo l'altro i sette membri della giuria hanno consegnato i premi messi a punto dopo faticosa, anche litigiosa, riunione in barca. Wenders ha presentati i suoi giurati escogitando per ciascuno un reboante aggettivo in inglese (incredible, gorgeous, fantastic, magnificent...), salvo poi, a premiazione compiuta, togliersi il sassolino dalla scarpa, vai a sapere quanto collettivo.
Molto loquace, l'etiope Gerima, dato per favorito dai critici e dal chiacchiericcio festivaliero, ha ringraziato Müller per aver scelto il film e il suo produttore per essersi venduto la casa quando nessuno voleva impegnarsi sul progetto. Ksenia Rappoport, chiamata a tradurre il compatriota russo German, se l'è cavata con amabile furbizia attoriale, fingendosi (o forse no) in difficoltà. Mentre Werner Schroeter, sofferente e smagrito sotto il cappello nero a larghe tese, ha ripercorso in un elegante italiano il rapporto creativo col nostro Paese.
Alle 19.50 «il momento più atteso»: la proclamazione del Leone d'oro affidata allo stesso Wenders, che s'è detto toccato nel profondo del cuore dalla prova di Mickey Rourke in The wrestler.
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