Zarqawi vivo dopo le bombe: «Tentò di parlare»

Andrea Nativi

Abu Musab Al Zarqawi era ancora vivo quando i poliziotti iracheni, subito seguiti dagli operatori dei reparti speciali statunitensi, sono entrati nelle rovine fumanti di quello che il leader guerrigliero credeva fosse un rifugio sicuro.
Al Zarqawi è stato deposto su una barella improvvisata, ha mugolato qualche frase, ha cercato di muoversi, realizzando di essere caduto in mano agli americani, ma nel giro di pochi minuti è deceduto a causa delle ferite riportate. Lo ha detto il portavoce del comando alleato, il maggior generale Bill Caldwell. L'ufficiale ha anche confermato che i risultati del test del Dna hanno resa certa l'identificazione di Al Zarqawi, che peraltro era sicura dopo la verifica delle sue impronte digitali, di alcune vecchie cicatrici, tatuaggi e l'utilizzo di un sistema di riconoscimento facciale. Caldwell ha poi sciolto i dubbi sul numero delle vittime dell'attacco: 3 uomini, incluso Al Zarqawi, e 3 donne. Ma fonti vicine alla famiglia sostengono che nel raid sarebbe morto anche un bambino di diciotto mesi, figlio del terrorista e di una palestinese.
Anche se diverse fonti hanno contribuito a formare il quadro di intelligence che ha portato alla identificazione dell'edificio dove si trovava Al Zarqawi, il generale Caldwell non ha specificato se qualche informatore si aggiudicherà parte o tutta la taglia di 25 milioni di dollari che gli Usa avevano posto sulla testa del leader della guerriglia.
Le truppe della coalizione intanto stanno sfruttando al massimo le informazioni, i documenti, i materiali che sono stati rinvenuti nel covo: giovedì sono stati effettuati 39 raid contro le forze della guerriglia e molti di essi sono frutto della actionable intelligence ottenuta ispezionando le rovine dell'edificio. A dimostrazione che la guerriglia rimane comunque un avversario pericoloso il governo iracheno ha prudentemente ordinato un parziale coprifuoco che riguarda la circolazione dei veicoli privati a Bagdad e Baquba. Si temono infatti attacchi terroristici di ritorsione.
Sono stati anche diffusi maggiori dettagli sull'attacco aereo che ha posto fine alla carriera del superterrorista: l'azione è stata condotta da due cacciabombardieri F-16C dell'Usaf, di base nella vicina Balad, dirottati sulla zona operativa. Uno dei due velivoli ha assolto il ruolo di Fac, osservatore aereo avanzato, mantenendo sotto controllo il bersaglio e fornendo la copertura. Il secondo F-16 ha invece eseguito l'attacco, probabilmente ricevendo dagli uomini delle forze speciali a terra la conferma delle coordinate. Il primo colpo è stato inferto utilizzando una bomba a guida laser da 227 kg Gbu-12 Paveway II, lunga oltre 3 metri e contenente quasi 90 kg di esplosivo. Viste le condizioni ottimali di visibilità quest'arma ha consentito di centrare un punto specifico dell'edificio con la giusta angolazione e la massima precisione. Il secondo ordigno è arrivato pochi istanti dopo, sotto forma di un'altra bomba da 227 kg, ma questa volta si è trattato di una più moderna Jdam Gbu-38, solo marginalmente meno accurata. Le bombe sono state lanciate ad una distanza, quota e profilo d'attacco tali da non consentire alcuna possibilità di accorgersi di cosa stava per accadere.
Ufficialmente il comando americano sostiene che l'attacco aereo era indispensabile per evitare il rischio di fuga dei guerriglieri. Può anche essere sia così, ma in genere quando si ha l'opportunità di mettere le mani su personaggi così importanti si cerca di prenderli vivi. È anche vero che Al Zarqawi è già stato molto fortunato in passato: farselo sfuggire ancora sarebbe stato imbarazzante.
George W. Bush ha comunque voluto ribadire che la guerra in Irak «non è vinta» e che non è ancora possibile definire un calendario per il ritiro delle truppe. La morte di Zarqawi è «di grande aiuto» nella lotta contro il terrorismo.

Ma, ha aggiunto Bush, «non voglio che il popolo americano pensi che la guerra è stata vinta con la morte di una sola persona. Avevo detto agli americani che avrei voluto i nostri soldati fuori dall'Irak il prima possibile il che dipende dalla nostra vittoria».

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