Roma - Lui segretario generale della presidenza del Consiglio, lei funzionaria del cerimoniale del presidente della Repubblica. Lui è Carlo Malinconico, da poche ore ex sottosegretario di Palazzo Chigi con delega all’editoria; lei è Grazia Graziani, una delle tante addette in forza al Colle, assunta sotto il settennato di Carlo Azeglio Ciampi. Entrambi vezzeggiati, coccolati, viziati perché potenti, forse utili anche se Malinconico giura che «non ho mai fatto favori ai personaggi coinvolti nella vicenda». Un pasticciaccio brutto che ha fatto saltare la prima testa: quella di lui, ieri dimissionario nelle mani del premier Mario Monti. Pare che uno dei più rigidi a richiedere questo epilogo sia stato l’altro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà. «Malinconico si deve dimettere», sarebbe andato in pressing sul premier. Il quale, da parte sua, ha condiviso la posizione intransigente: via chi macchia l’immagine del governo.
A nulla è valsa la difesa di Malinconico che durante un faccia a faccia col presidente del Consiglio nella tarda mattinata di ieri, s’è detto innocente su tutta la linea. Il caso riguarda lo scandalo delle vacanze pagate a Malinconico e signora nell’hotel di lusso il Pellicano di Porto Ercole da parte dell’imprenditore Francesco De Vito Piscicelli, costruttore indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla «cricca» per gli appalti del G8. Il sottosegretario di Monti avrebbe usufruito, secondo un rapporto dei Ros del 2009, di week end di lusso tra il 2007 e il 2008, quando ricopriva l’incarico di segretario generale di palazzo Chigi e si occupava di appalti. Soggiorni d’oro, in suite mozzafiato, godute assieme alla compagna stipendiata dal Colle. In coppia hanno goduto dei ritiri dorati e dal prezzo esorbitante: quasi 20mila euro. Un conto non pagato da Malinconico, però. Il primo soggiorno è dell’agosto 2007. Conto di 10mila e 485 euro. Il secondo è di diversi weekend tra maggio ed agosto 2008. Conto di 19mila e 870 euro, in parte pagato da Malinconico e in parte da Piscicelli. Pizzicato dalla stampa, Malinconico s’è difeso in modo un po’ traballante: «Chiesi solo a Balducci (anche lui al centro dell’inchiesta sugli appalti, ndr) di prenotarmi l’albergo e lui lo fece. Poi mi fu detto che per i miei soggiorni era già stato provveduto. Ma senza specificare da parte di chi. Irritato, cancellai le successive prenotazioni». Insomma, utilizzatori finali di resort a sbafo. In cambio di che? «Mai fatto favori ai personaggi coinvolti», giura Malinconico. Lei invece non rimane nell’ombra. Ma i due sembrano essere due rotelle che è bene ungere chissà perché. La difesa dell’ospite «a sua insaputa», in ogni caso, non ha convinto nessuno: né la stampa né tantomeno il premier che ha concesso udienza al suo sottosegretario ieri all’ora di pranzo. Poco più di un ora nel quale Monti ha ascoltato le giustificazioni del suo uomo e poi la sentenza: meglio che lasci.
Al termine del summit, una nota di palazzo Chigi ha informato che «il sottosegretario ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico, per poter meglio difendere la propria immagine e onorabilità in tutte le sedi, nonché per salvaguardare la credibilità e l’efficacia dell’azione del governo». E il premier? «Il presidente del Consiglio, nell’accettare le dimissioni, ha manifestato al sottosegretario Malinconico il suo apprezzamento per il senso di responsabilità dimostrato nell’anteporre l’interesse pubblico ad ogni altra considerazione». Una stretta di mano e via. «Il presidente Monti ha inoltre ringraziato il sottosegretario per il suo contributo al lavoro del governo, pur nella brevità del suo incarico».
La nota ufficiale parla di dimissioni soft, in verità la decisione di Malinconico è stata sofferta e tormentata. Fino all’ultimo momento il sottosegretario ha provato a restare al suo posto lamentando la correttezza del suo operato. Fino alla sera di lunedì il sottosegretario ha apposto il più netto «niet» al passo indietro: «Dimettermi io? No, non ci penso affatto». Ma più le ore passavano più il terreno sotto i piedi di Malinconico si faceva friabile. Fino al cedimento. Ma è stato soprattutto Monti, visibilmente in imbarazzo, a chiedere al suo uomo un passo indietro. Il senso del suo ragionamento: «Nella sacrosanta lotta ai “furbetti” non è possibile concedere neppure una macchiolina».
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