«Vi racconto la mia vita d’attrice rovinata dai pettegolezzi e dai giudici»

Gioia Scola era sulla cresta dell’onda quando fu arrestata nel ’95. E ci sono voluti 12 anni perché fosse assolta

Dodici anni fa. Sembra una vita. Eppure ci si è messo poco anche allora, era il giugno del 1995, a rovinare una vita. Nel caso specifico la vita di Gioia Maria Tibiletti, meglio conosciuta come Gioia Scola. Attrice in ascesa, che si era già guadagnata un posto nel firmamento del cinema in alcuni film del periodo yuppie, accanto a Jerry Calà e a Ezio Greggio. Ci misero un attimo a distruggerla. Un pentito, Mario Fienga, ciarliero quanto impreciso che, imbeccato da uno zelante quanto ancora ignoto burattinaio, pensò bene di mettere in mezzo lei e di trascinare nel fango, tramite lei, anche certi eccellenti personaggi tipo Paolo Berlusconi (risultato subito totalmente estraneo) e l'allora ministro Giovanni Goria. Due parole, poi altre due. Poi qualche malavitoso che finisce in manette e confessa di essersi dedicato all'import-export di cocaina brasiliana e di aver rifornito lo star-system. Morale? Arresti veri di delinquenti veri ma anche una gigantesca bolla di sapone che ha imprigionato per cinque mesi, tre nel carcere di Pozzuoli e altri due agli arresti domiciliari, Gioia Scola. Che solo il 31 Gennaio del 2007, su richiesta della stessa Procura, ha finalmente ottenuto la sentenza più trasparente e cristallina che ci sia in circolazione: l'assoluzione perché il fatto non sussiste.
Dodici anni per renderle giustizia, nel frattempo,signora Scola, come è cambiata la sua vita?
«La mia vita è stata annientata. O meglio hanno tentato di annientarla. Ci sono riusciti con mia madre che, dal giorno del mio arresto, è caduta nella depressione. Un baratro da cui non è più riuscita a risollevarsi. Ma io sono tosta, ho reagito. Ho urlato la mia innocenza. Per due anni hanno rovistato la mia casa, i miei conti correnti, hanno intercettato le mie telefonate sperando di trovare chissà cosa. Inutile. Non nascondevo nulla perché non avevo nulla da nascondere».
Ha provato a darsi una spiegazione, a capire perché qualcuno ce l'avesse con lei?
«I magistrati napoletani si sono appigliati all’amicizia che avevo stretto con la sorella di Vincenzo Buondonno, poi incarcerato a Rio per droga. Un’amicizia occasionale. Io all’epoca viaggiavo molto per lavoro e avevo conosciuto la famiglia Buondonno perché frequentavo il loro ristorante in Brasile. Non mi sembravano certo dei malavitosi. Tutto qui. Così quando il pentito ha tirato fuori il mio nome, mi sono sentita cascare il mondo addosso. Ho chiesto un confronto con chi mi accusava e lui si è rimangiato tutto. Ho capito subito che qualcuno voleva incastrare con me persone integerrime, sporcarle con le peggiori menzogne».
In qualche modo l'avrebbero usata, dunque?
«La risposta arriva dal procuratore Andrea De Gasperis, la persona che ha chiesto la mia piena assoluzione. E che si è domandato, nel suo intervento in aula, perché mai altri suoi colleghi mi avessero arrestato. Come si fa a non pensare ad una macchinazione? O alla smania di protagonismo unita alla superficialità di certi magistrati»
Un parallelo con quanto sta succedendo anche adesso?
«Il parallelo è d’obbligo. Non conosco il dottor Woodcock, ma posso dire che i magistrati dovrebbero perseguire chi commette reati. E colpire duramente quando il reato viene accertato. Ma se il reato non c'è, se ci sono solo le chiacchiere, allora le cose cambiano e non si può rovinare la vita e trascinare nel fango politici, imprenditori e attori solo per i sentito dire»
Crede che qualche sua collega possa venire a trovarsi in una situazione come la sua?
«Sinceramente lo escludo. Una situazione come la mia, con cinque mesi di detenzione, con titoli sparati a piena pagina in cui venivo definita la grande trafficante, con menzogne riferite a ad arte da certi magistrati perché i giornalisti le scrivessero, una situazione, direi, così kafkiana è difficile che si ripeta. C'è da augurarsi che non si ripeta».
Lei si definisce una donna forte, come ha reagito?
«Non è stato il carcere a pesarmi di più. Dal carcere anzi ho tratto lo spunto per scrivere e produrre nel 2001 il film Malefemmene che racconta la storia di donne finite in cella per disavventure varie. Ciò che mi ha pesato di più è stata la diffamazione. Per questo motivo ora che ho ritrovato fiducia nella giustizia, chiederò risarcimenti materiali e morali».
La sua carriera di attrice è stata bruscamente interrotta...
«Il set non mi manca, fortunatamente non ho rimpianti. Perché oggi dedico, con una mia casa, tutte le mie energie alla produzione di film e alla sceneggiatura.

Il successo di Malefemmene, con Giovanna Mezzogiorno e Angela Molina, scritto con Anna Pavignano, l'autrice di tutti i film di Troisi, mi ha incoraggiato a continuare su questa strada».
E nel suo futuro, tornato rosa, che cosa legge?
«Sto lavorando alla Capitanessa, un film in due puntate per la Tv che vedrà come protagonista Sabrina Ferilli».

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