Trump arriverà alla Casa Bianca con la certezza di una maggioranza al Senato e, a quanto pare, anche alla Camera. Un vantaggio pari, e forse anche maggiore, rispetto all'ultima volta. Per questo Donald non commetterà di nuovo gli stessi errori, a partire dalla sua precedente disponibilità a nominare figure raccomandate dall'establishment. Funzionari rispettati, ma che si sono rivelati completamente sbagliati per lui.
Uno di questi è stato il suo primo segretario alla Difesa, il generale James Mattis, un vero eroe di guerra che nel 1991 ha guidato i suoi Marines in goffi veicoli anfibi fino a Baghdad a tempo di record, ma che si è rivelato essere un democratico. Mattis si è opposto a tutte le politiche di Trump e ha persino cercato di nominare il candidato di Hillary Clinton al Pentagono come suo vice. Trump ha dovuto sostituirlo, con un certo costo politico.
Un altro è stato il suo segretario di Stato, Rex Tillerson, l'amministratore delegato di Exxon raccomandato sia da Condoleezza Rice che da Robert Gates, rispettivamente segretario di Stato e segretario alla Difesa sotto George W. Bush. Tillerson aveva lavorato una vita nel difficile settore petrolifero. Ma, non appena si è trasferito nel suo iconico ufficio al settimo piano, è stato strangolato dai dogmi del Dipartimento di Stato. Per esempio, gli Stati Uniti dovevano avere l'approvazione di Francia e Germania per qualsiasi piano di ricostruzione della Nato, già allora gravemente impoverita da anni di spese insufficienti. Il che, ovviamente, garantiva la paralisi, perché i francesi non avevano soldi da spendere e i tedeschi non volevano spenderli. Il risultato finale è stato il clamoroso scontro pubblico fra Trump e la Cancelliera Merkel, che ha pazientemente sottolineato come la guerra in Europa fosse del tutto improbabile e che comprare armi e munizioni sarebbe stato solo uno spreco di denaro. Naturalmente tutte le élite, sia americane che europee, si sono schierate dalla parte del logico ragionamento della cancelliera Merkel, contro i beceri sproloqui di Trump. Questo è un errore che Trump non ripeterà: non chiederà, ma darà ultimatum. E non seguirà più i dogmi del Dipartimento di Stato.
Un altro episodio è stato significativo. Durante il primo mandato di Donald, la figlia di Trump Ivanka e suo marito Jared Kushner, giovane uomo d'affari senza credenziali in Medio Oriente, ebbero la sciocca idea di chiedere candidamente ai loro amici del Bahrein, del Marocco, dell'Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti di aprire relazioni diplomatiche con Israele. Il Dipartimento di Stato reagì subito e fu Tillerson a spiegare pazientemente a Trump perché sua figlia e suo marito dovevano rimanere fuori dalla diplomazia mediorientale: nessuno Stato arabo avrebbe potuto accettare di avviare relazioni diplomatiche con Israele fino a quando non fosse stato risolto il problema palestinese, per cui qualsiasi tentativo di portare avanti l'assurdo progetto non avrebbe potuto che concludersi con umilianti rifiuti.
Di certo, per quanto riguarda la politica estera, il Trump II sarà guidato dai suoi più stretti consiglieri, piuttosto che dalla burocrazia. Questo vale certamente per la guerra in Ucraina, che non può finire se Putin non accetta di porvi fine. Dal punto di vista diplomatico, Trump partirà con un grande vantaggio rispetto a Biden: a differenza del presidente uscente, Donald non ha mai insultato Putin, per cui il leader russo può accettare un compromesso offerto dal suo omologo americano senza temere di essere accusato di debolezza. Su questo mi aspetto un'azione intensa già dai primi giorni successivi all'insediamento.
Un approccio così conciliante non può funzionare con l'Iran. Sapendo che il suo Partito Democratico era intrinsecamente interventista, Obama era determinato a evitare una guerra in Iran quando è entrato alla Casa Bianca. Il suo metodo è stato quello di abbracciare il regime degli ayatollah, concedendo favori economici che ne hanno aumentato notevolmente le entrate petrolifere. La politica è continuata anche quando è diventato ovvio che il denaro non veniva speso per i bisogni della popolazione, ma andava invece al vasto programma nucleare e alle Guardie Rivoluzionarie. E veniva speso sia per le proprie forze armate, sia per le milizie sciite, da Hezbollah in Libano al Kataeb in Irak fino agli Houthi dello Yemen. E perfino per Hamas, anche se, in quanto estremista sunnita proprio come l'Isis, Hamas considera tutti gli sciiti come eretici.
Quando Trump è salito al potere per la prima volta, i rigidi controlli sulle entrate petrolifere iraniane hanno ridotto drasticamente l'espansione militare di Teheran. Ma quando Biden lo ha sostituito, il coordinatore per l'Iran di Obama (da allora espulso dalla Casa Bianca per violazioni della sicurezza!) è stato riconfermato, i controlli sulle esportazioni petrolifere sono stati aboliti, le entrate petrolifere iraniane sono aumentate e il risultato finale è la guerra su più fronti attualmente in corso.
Si dà il caso che l'ultima mossa di Biden sia stata quella di inviare bombardieri pesanti B-52 in Medio Oriente per scoraggiare qualsiasi altro attacco di missili balistici iraniani: una mossa fatta in realtà per evitare una eventuale rappresaglia di Israele sul terminale iraniano per l'esportazione di petrolio di Karg. Trump potrà agire immediatamente per ridurre i proventi dalle esportazioni petrolifere iraniane, ma se ciò non bastasse i B-52 potrebbero essere utili, nonostante Trump sia fondamentalmente anti-interventista, proprio come lo era Reagan.
Ma la lezione più importante che Trump ha imparato durante il suo primo mandato è stata quella sul suo stesso partito e i suoi rappresentanti alla Camera e al Senato. Non essendo mai stato repubblicano prima di candidarsi alla presidenza, Trump ha imparato che il partito repubblicano di oggi è molto diverso dal GoP, il Grand old party dei country club, quello del libero commercio, del piccolo governo e delle basse tasse visto in azione l'ultima volta negli anni '80 sotto Ronald Reagan. Durante il Trump I, i repubblicani hanno continuato a chiedere il libero scambio con la Cina, a cui Trump si è opposto, e a cui ora si oppone ancora di più, perché arricchisce il principale antagonista degli Stati Uniti. Tuttavia il partito ha ormai smesso di opporsi all'esondante azione governativa in tutta l'economia e la società, spinto anche dall'aumento dei dipendenti pubblici locali, statali e federali, che raggiungeranno i 22,45 milioni nel 2023. Un numero enorme, che comunque sottostima la popolazione totale che vive grazie al governo, perché ogni volta che il Partito Democratico controlla le burocrazie locali, statali o federali, espande il suo raggio d'azione concedendo denaro pubblico a Ong private o non-profit che promettono di migliorare l'istruzione pubblica, promuovere l'energia rinnovabile, aiutare i poveri, difendere l'ambiente, monitorare l'assistenza sanitaria e un centinaio di altre cose buone - ma che pagano anche ottimi stipendi ai loro dirigenti. Molto prima che Michelle Obama diventasse «centi-milionaria» dopo gli anni alla Casa Bianca, riceveva un ottimo stipendio da un ospedale non-profit di Chicago, mentre lo stesso Obama era pagato da un altro ente non-profit per lo «sviluppo della comunità», entrambi finanziati in ultima analisi dai contribuenti, anche se i due Obama erano in realtà funzionari del Partito Democratico. Sotto il Trump II i funzionari del presidente lavoreranno duramente per garantire che i Repubblicani alla Camera e al Senato siano rigorosi nell'esame di ogni capitolo del bilancio federale, resistendo alla tentazione di fare favori a spese dei contribuenti.
Un altro obiettivo della politica del Trump II sarà quello di fermare e poi invertire la marea di regolamenti che interessano ogni settore dell'economia. In Giappone, chi vuole un'auto piccola compra una delle attraenti, leggere ed economiche auto Kei con motori inferiori ai 660cc, mentre ai produttori statunitensi non è permesso vendere alcuna auto che non possa essere guidata in sicurezza ad alta velocità. L'elenco sempre più lungo di norme sul consumo di carburante, sull'ambiente e sulla sicurezza fa lievitare i prezzi delle auto nuove a livelli che molti americani non possono permettersi, e quindi acquistano auto di seconda mano che spesso sono più pericolose di un'auto nuova.
Una grande ondata di deregolamentazione sarà la prima conseguenza della vittoria di Trump. Inizierà con l'industria del petrolio e del gas, ma non si fermerà lì. Se Musk rimarrà concentrato sul suo nuovo ruolo di ministro dell'Innovazione, ci sarà anche un'ondata di deregolamentazione industriale, anche se nel settore dell'aviazione è più urgente un'azione antimonopolistica per smantellare la sonnolenta Boeing e la poco creativa Lockheed.
Infine, non va dimenticato che è stata l'immigrazione clandestina il tema centrale della campagna di Trump. Il quale, il giorno dell'insediamento, a gennaio, presenterà il suo piano: si inizierà limitando il diritto di asilo a coloro che hanno realmente bisogno di protezione da persecuzioni politiche o razziali (meno dell'1% di tutti coloro che hanno attraversato il confine sotto Biden). La stragrande maggioranza non è mai stata perseguitata e vuole solo guadagnare di più, anche se lo fa illegalmente. In secondo luogo, si metterà subito fine alla pratica di trasportare in aereo migliaia di immigrati clandestini della stessa nazionalità in piccole città, come i 1500 mauretani che sono arrivati improvvisamente a Lackland, in Ohio. Gli immigrati clandestini andranno rispediti oltre il confine non appena entrati, invece di essere rilasciati sul lato statunitense. Lo si faceva in modo abbastanza efficace sotto Trump I, e da allora si è imparato molto per facilitare le deportazioni immediate.
Certo, molti potrebbero giustamente obiettare che nessun elenco di programmi può catturare il vero significato della vittoria di Trump.
Il senso più profondo sta nel verdetto dell'America sui processi politici, sulla «teoria critica della razza» nelle scuole (quella per cui qualsiasi standard educativo è razzista), sugli studenti che manifestano in favore di terroristi assetati di sangue, sui principali giornali che abitualmente sopprimono la verità per motivi puramente di parte e sulla bancarotta morale dell'intera industria dell'intrattenimento e certamente di Hollywood, dove tutti, tranne pochi, si vergognano quando i film di guerra patriottici ottengono un successo sia artistico sia commerciale. Questo marcio mondo della comunicazione ha guastato il Paese e gli americani vogliono qualcosa di meglio.
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