
Di notte sogna l'apocalisse, il ragazzo di origini algerine Skander: «Mi inseguiva, facendo cadere dal cielo tonnellate d'acciaio. Prima di morire schiacciato, urlavo e mi svegliavo. Poi mi veniva un'emicrania micidiale». Vorrebbe e non vorrebbe raccontarlo al medico francese che gli ricuce la testa dopo che si è gettato nel vuoto: vorrebbe, perché si sente cattivo e inutile, perché a uno o due anni già era in carico all'Ase, i servizi sociali per l'infanzia, e nessuno abbandona un figlio in tempo di pace; ma insieme non vorrebbe, perché i suoi punti di riferimento li ha già. Madame Davert, la sua assistente sociale, «l'angelo custode incaricato di migliorarmi la vita», e il dizionario Larousse.
È Skander l'io narrante di Le condizioni ideali (Gramma Feltrinelli, traduzione di Elena Cappellini), romanzo d'esordio di Mokhtar Amoudi, classe 1988, cresciuto nella periferia parigina, che lo presenterà a «Testo» l'1 marzo, (Firenze, Stazione Leopolda) e a Milano il 3 marzo (Feltrinelli, piazza Piemonte). La cosa che più piace in assoluto fare a Skander, anche più di vivere la vita vera, è leggere il dizionario. Il Larousse è la Bibbia: «Ci trovavi spiegato il mondo intero. C'erano espressioni latine dal significato oscuro ma sempre definito. E soprattutto i nomi propri. Mi chiedevo cosa si dovesse fare per finire lì dentro. Mi colpiva il fatto che si parlasse di persone vissute così tanto tempo prima. Imperatori, scienziati, sportivi. Anche paesi. Potevi arrivare fino alla Cordigliera delle Ande o in Mongolia». E a Skander - accostato più volte dalla critica francese a Momo, il protagonista di La vita davanti a sé di Romain Gary - piace viaggiare, soprattutto con la testa, andare via, lontano dalla casa anonima dove vive con la famiglia affidataria che sta per sbarazzarsi di lui. Il ragazzo Skander prende anche bei voti e già all'inizio dell'anno scolastico ha divorato tutti i libri, ma verrà rifiutato di nuovo. «Persona di comprovata moralità», marocchina di profonda fede religiosa: è con Madame Khadija, nella banlieue profonda, che Skander è destinato a crescere davvero. Madame Khadija la metà delle volte parla in arabo, sempre a voce altissima, e Skander inizia a impararlo. E poi la casa è grande, «con diverse camere libere, tutte dotate di televisore. In soggiorno, c'erano delle vetrinette piene di piatti, oggetti dorati e matrioske... La cosa più importante per lei, e quindi per me, era la pulizia della casa. Il suo sguardo inquisitore seguiva ogni mio movimento, e alla minima polvere che si creava fingeva di soffocare». E allora Skander esce, e va a sbattere contro la realtà delle banlieue: risse, spaccio, inciviltà e ragazze facili - come nella definizione di un cittadino a colloquio col viceprefetto - diventano la sua quotidianità. Si tratterà di imparare a scegliere tra lo spettro della cella e quello dell'amore, tra il profumo dei soldi e dei guai e quello della normalità e del futuro.
Un romanzo delicato e brutale, che corre veloce come un ragazzo in fuga, verso la libertà e il significato, e regala momenti di pace e trasformazione, all'ombra delle
incontenibili banlieue. Momenti spesso legati a un libro - non importa quale, forse sulle Nazioni Unite di Ginevra o sul suicidio con la katana come segno di saggezza - perché «è un libro, spesso un romanzo, che ti segna per sempre».
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