Le lezioni andrebbero imparate: soprattutto dalla magistratura ma nondimeno dalla politica che cerca di riformarla. Perché anche allora, 33 anni fa, l'intero corpo della magistratura fece sciopero, anche allora lo fece contro una riforma epocale che la toccava nel vivo e per la quale prevedeva sfracelli, anche allora la magistratura si mosse contro un ex collega che era entrato al ministero della Giustizia, anche allora la magistratura riuscì a coagulare tutte le sue correnti interne, e, anche allora, a non condividere le ragioni dello sciopero c'era paradossalmente Antonio Di Pietro.
Ma non è questo a contare: non sono, ossia, tanto le similitudini, quanto le differenze decisive tra allora e oggi. Al tempo, il 2 novembre 1991, la magistratura protestava ufficialmente «contro Falcone, contro Cossiga» (fu un titolo di giornale) e nel caso del capo dello Stato era per via delle sue esternazioni sul Csm, ma, nel caso di Falcone, era per la sua «Superprocura» che pure sbaraglierà la Mafia corleonese, e contro la quale si opponeva il Csm e il cosiddetto fronte antimafia oltre a giornalisti ed intellettuali di turno. Anche allora, dettaglio di colore, tra i magistrati che non aderivano alle ragioni dello sciopero c'era un allora sconosciuto pubblico ministero che si chiamava Antonio Di Pietro, e che a tutt'oggi, ma seduto sul trattore, dice che la separazione delle carriere si potrebbe anche fare. Ma, anche allora, soprattutto, il procuratore generale della Cassazione (ai tempi si chiamava Vittorio Sgroi) all'inaugurazione dell'anno giudiziario, cioè due mesi prima che iniziasse l'inchiesta Mani pulite, criticò la riforma epocale che era stata voluta dalla politica come fecero, pure, le relazioni dei procuratori generali delle Corti d'appello: dissero tutti in coro, peraltro, che il Nuovo Codice era «ipergarantista» e cioè il contrario della maniera in cui sarà applicato negli anni successivi. Vero è, parentesi, che quel Codice non fu mai completato con una necessaria separazione delle carriere (giudici e pm) e che la figura del gip, teorico giudice «terzo» tra accusa e difesa, resterà quella di un vidimatore delle carte dell'accusa.
Ma il punto chiave della similitudine è appunto questo: più di trent'anni fa la magistratura paventava un «ipergarantismo» che spuntasse le unghie all'accusa, e poi con Mani pulite andò nel modo opposto; oggi, invece, la stessa magistratura paventa che la separazione delle carriere voluta da Carlo Nordio dia viceversa «troppo potere ai pm» come esito finale: che è proprio quello che è accaduto negli ultimi trent'anni, e che non doveva accadere.
Colpisce, insomma, la disinvoltura con cui la magistratura seguita a dare per scontato che la lettera della Legge, intesa come le velleità del legislatore, possa ottenere effetti contrari rispetto a quelli voluti: questo, attenzione, a mezzo del fatto che ad applicarla, la legge, sono proprio loro, sono dei magistrati soggetti all'interpretazione delle norme, alla prassi, alla giurisprudenza, alle corti di Cassazione e Costituzionale, gente che è soggetta insomma a se stessa. Da un lato, quindi, il precedente dovrebbe suonare come un monito affinché le norme che regolamenteranno la separazione delle carriere siano scritte in un modo che renda inequivoca la loro applicazione.
Da un altro lato, lo stesso precedente rende evidente che ad aver stravolto le regole e contribuìto al disastro della giustizia, nel trentennio scorso, è stata appunto la magistratura, che non a caso, al tempo, era sorretta da imponenti manifestazioni di piazza, mentre oggi si ritrova a manifestare da sola, fuori dai tribunali, a margine di una sfiducia che è ai massimi storici: anche se la colpa, dicono, non è certo loro. Ma ci sarà una ragione se trent'anni dopo non ci crede più nessuno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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