La New York di Pasolini tra notti avventurose e divini sogni di ribellione

Il poeta fu affascinato da un Paese ancora giovane. Era l'America della contestazione (e dei locali notturni)

La New York di Pasolini tra notti avventurose e divini sogni di ribellione

Ecco una occasione per capire l'originalità e la libertà di pensiero di Pier Paolo Pasolini. All'omonimo Centro studi di Casarsa della Delizia, è in corso una mostra sorprendente per molti aspetti. Si tratta di Pasolini America Warhol, a cura di Alessandro Del Puppo e Giada Centazzo, e illumina il rapporto del poeta con gli Stati Uniti, attraverso fotografia, cinema, letteratura e arte (fino al 23 febbraio 2025). A questo, si aggiunge un prestigioso convegno internazionale di studi, Pasolini America, a cura di Alessandro Del Puppo, Andrea Zannini ed Elisabetta Vezzosi, venerdì e sabato prossimo.

Facciamo il punto proprio con il professore Alessandro Del Puppo, autore di un saggio pionieristico in materia: Pasolini. Warhol. 1975 (Mimesis, 2019).

Pasolini visitò due volte gli Stati Uniti o meglio New York. Il primo viaggio avvenne nel 1966. Lo scrittore fu ospite di Oriana Fallaci che lo intervistò per l'Europeo. Oriana si disse preoccupata della permanenza di Pasolini. Dopo cena, la Fallaci era un'ottima cuoca, Pasolini spariva nella notte americana in cerca di avventure sessuali. Le trovava e tornava alla mattina, spesso malconcio.

Si potrebbe pensare che Pasolini non potesse apprezzare una società fondata sul consumismo. Invece vi trovò qualcosa di vitale. Del Puppo: «La New York di Pasolini è quella del movimento studentesco e delle lotte per l'integrazione razziale e per i diritti civili. Riconobbe nella gioventù statunitense un potenziale creativo e in fin dei conti anche rivoluzionario, però in termini diversi rispetto alle categorie marxiste. A New York non esisteva il proletariato così come lo poteva definire un uomo europeo».

C'era però anche un senso di libertà che andava oltre le questioni strettamente politiche. Del Puppo: «Non lo dice esplicitamente ma fa capire di essere affascinato dalla assenza di costrizioni nella vita privata. Una esperienza ben diversa dalle censure e dalle ingiurie che in Italia era costretto a subire in quanto omosessuale. Fu un approccio viscerale. Si perdeva di notte per Manhattan, frequentava i club notturni».

Fu quindi un'esperienza liberatoria: «Sì. Scopre la gioventù americana. Ma non è solo questo. L'intera società newyorchese gli sembra per così dire giovane. La percepisce ancora piena di forza e di energia».

E qui scatta una similitudine davvero sorprendente: «C'è anche una componente poetica e letteraria. I giovani americani, per Pasolini, sono come i primi cristiani, hanno la stessa fervida passione. Li vede come profeti e possibili rivoluzionari. Pasolini pensò proprio di fare il famoso film su san Paolo in America. Del resto il Paolo di Pasolini è anche un agguerrito militante. Pasolini al centro di Manhattan rifletteva sul ruolo di san Paolo...». Però cambiò idea: «Il secondo viaggio risale al 1969. Pasolini venne a presentare i suoi film: la sua fama negli Stati Uniti era legata al cinema. In quel momento, Pasolini incontra un'altra America, livida, sull'orlo della guerra civile. Ci sono il Vietnam, Nixon, gli scontri. È costretto a ripensare alle impressioni del 1966».

Veniamo alla cultura a stelle e strisce. Del Puppo: «È opportuno ricordare che Pasolini si formò con l'anti-americanismo della cultura italiana degli anni Trenta. Dopo la guerra, attraverso il suo traduttore, Pasolini lesse alcuni autori americani, in particolare Allen Ginsberg. L'America di Pasolini non è quella della letteratura. È quella dei giovani in carne e ossa. In un certo senso, i ragazzi statunitensi conservano qualcosa di quel sottoproletariato urbano che Pasolini tanto amava e tanto rimpiangeva perché spazzato via dalla ricchezza, dal consumismo, dal boom economico».

Infine c'è un terzo incontro, indiretto e poco noto, con gli Stati Uniti e proprio con l'artista, Andy Warhol, che sembra collocarsi a una distanza siderale da Pasolini. Del Puppo: «Nell'estate del 1975, quindi pochi mesi prima della tragica morte, Pasolini accetta di scrivere un testo di presentazione per una mostra italiana di opere di Andy Warhol. Fu una esposizione molto importante: erano oltre duecento ritratti di travestiti, uomini tendenzialmente neri e portoricani, che Pasolini aveva visto nelle discoteche di Manhattan». La mostra si tenne dapprima a Ferrara (1975) e poi a Milano (1976). Del Puppo: «In questa seconda occasione venne pubblicato il testo di Pasolini che però era morto ormai da due mesi. Per questo si tratta di una storia un po' dimenticata. In realtà è significativo il fatto che uno degli ultimi testi scritti da Pasolini sia dedicato all'artista che ci sembra il più lontano possibile da Pasolini. Andy Warhol era il cantore più fedele, più in sintonia con la moderna società di consumo».

Il convegno internazionale prova a fare il punto su questa vicenda forse per la prima volta in maniera così sistematica. Del Puppo: «Da un lato c'è la questione storica, cioè Pasolini interprete della storia e della cronaca americana inevitabilmente di quel tempo. Poi ci sarà una sessione dedicata ai rapporti più propriamente letterari. La terza parte è dedicata al cinema.

Vedremo l'influenza della cinematografia americana su Pasolini, a partire, ad esempio, da Charlie Chaplin o Orson Welles, che conobbe. Al tempo stesso è stato il cinema a far conoscere Pasolini agli americani, e anche questo è un tema che va affrontato e sviscerato».

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