Il Fisco apre alle escort. Ora possono avere la partita iva

Spunta il codice Ateco nella classificazione 2025 sviluppata dall'Istat in vigore dal primo aprile

Il Fisco apre alle escort. Ora possono avere la partita iva
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Dal 1° aprile è ufficiale: anche chi esercita la professione di escort può aprire partita Iva ed emettere regolare fattura. Merito del nuovo elenco Istat 2025, che ha introdotto il codice Ateco 96.99.92: una categoria pensata per le “altre attività di servizi alla persona n.c.a.”, ma che di fatto spalanca le porte alla regolarizzazione fiscale dei sex worker.

Il codice non menziona apertamente la prostituzione, ma è sufficiente leggere tra le righe: accompagnatori e accompagnatrici, agenzie di incontri, compagnia e intrattenimento. In pratica, un passepartout per esercitare in autonomia, nel rispetto della legge Merlin del 1958. Niente case chiuse né agenzie che intermediano: chi lavora deve farlo da solo, e senza vendere esplicitamente prestazioni sessuali. Il confine resta sottile, però: lo sfruttamento e il favoreggiamento restano reati, puniti severamente.

Che la prostituzione autonoma generi reddito imponibile è un principio ormai consolidato. Lo ha sancito più volte la Cassazione: se l’attività è abituale, siamo nel campo del lavoro autonomo; se è occasionale, si tratta comunque di “redditi diversi”. In ogni caso, il Fisco non resta a guardare. Anche l’Agenzia delle Entrate può intervenire con controlli, redditometri e accertamenti. Lo conferma anche la Commissione tributaria della Liguria (sentenza 314/2021): anche il meretricio paga l’Irpef.

Oggi, dunque, le escort possono finalmente mettersi in regola: aprono la partita Iva, scelgono il regime fiscale (forfettario se sotto gli 85mila euro), si iscrivono alla gestione separata Inps e fatturano. Fino a ieri, dovevano “mascherarsi” da estetisti o artisti. Ora, la fiscalità si adegua alla realtà.

Anche se, nella descrizione ufficiale del codice 96.99.92, compaiono per errore attività come l’organizzazione di servizi sessuali e la gestione di case di tolleranza, penalmente vietate. Una svista? Forse. Ma una cosa è certa: pecunia non olet, nemmeno in lingerie.

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