Il bitcoin al posto delle riserve auree. Cosa c'è dietro la corsa "all'oro digitale" da parte degli Usa

Le ragioni dietro il crescente interesse dei singoli stati Usa per le riserve in cripto, però, sono principalmente legate alla protezione contro l’inflazione

Il bitcoin al posto delle riserve auree. Cosa c'è dietro la corsa "all'oro digitale" da parte degli Usa
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Già durante la sua campagna elettorale Donald Trump aveva proposto l’idea di una riserva federale composta da bitcoin e altre criptovalute. Adesso, ben 19 Stati (i più attivi sono lo Utah e l’Arizona) stanno esplorando la possibilità di adottare normative che permettano di costruire queste riserve, con stime che suggeriscono un potenziale flusso di acquisti di bitcoin pari a circa 23 miliardi di dollari.

L’approccio è cambiato e non è un caso se Trump ha scelto come nuovo capo della Sec, la Consob americana, Paul Atkins, che nel 2018 affermava: “Il bitcoin è una tecnologia rivoluzionaria e il suo potenziale non dovrebbe essere soffocato da una regolamentazione eccessiva”. Le ragioni dietro il crescente interesse dei singoli stati Usa per le riserve in cripto, però, sono principalmente legate alla protezione contro l’inflazione. Il bitcoin, viene spesso definito “oro digitale” ed è visto come un asset deflattivo, grazie alla sua offerta limitata e ai meccanismi come il cosiddetto “halving”, che riducono del 50% la quantità di bitcoin che entra nel mercato. In un contesto di aumento dei prezzi e instabilità economica, molti Stati vedono quindi un nuovo rifugio per proteggere il proprio valore.

Anche perché il prezzo del bene rifugio per eccellenza, ovvero l’oro, continua da mesi a battere un record dopo l’altro (mentre scriviamo, il metallo prezioso con consegna immediata, chiamato Gold Spot, sta passando di mano a 2.914 dollari l'oncia con una crescita dello 0,63% mentre l'oro con consegna ad aprile, il Comex, è scambiato a 2.926 dollari). La domanda è alimentata anche dalle banche centrali: la quota di oro nelle loro riserve è diminuita per decenni, passando da quasi il 40% del 1970 ad appena il 6% del 2008, ma di recente ha ripreso a salire, fino a raggiungere l’11 per cento nel 2023. Non solo. Elon Musk ha lasciato intendere con una serie di post sulla sua piattaforma X che il dipartimento per l'Efficienza del governo (Doge) da lui diretto intenda verificare l'effettiva presenza delle riserve auree statunitensi custodite presso la base militare di Fort Knox, nel Kentucky. "Alla ricerca dell'oro a Fort Knox..." ha scritto Musk condividendo anche un messaggio pubblicato dal senatore repubblicano dello Utah, Mike Lee, che ha denunciato di aver tentato di verificare personalmente la presenza delle riserve auree all'interno della base, ma di essere stato respinto.

Gli Stati Uniti hanno la più grande riserva d'oro del mondo: quella di Fort Knox è valutata 425 miliardi di dollari con il resto dell'oro degli Usa conservato presso la Federal Reserve Bank di New York. Come è messa l’Italia? A fine 2024 l’Italia ha mantenuto il terzo posto per riserve auree; con un controvalore che, a febbraio, si avvicina ai 220 miliardi di euro (per fare un raffronto, se il nostro Paese decidesse di incassare questa plusvalenza avrebbe di gran lunga superato il gettito dell’Imu incassata nel 2023 pari a 18,1 miliardi).

Ma cosa unisce la corsa all’oro e le riserve in cripto? L’oro, come il bitcoin, è una risorsa finita e aumenta di prezzo perché interessante come riserva di valore, più che come mezzo di pagamento. All’inizio di dicembre il governatore della Federal Reserve Jerome Powell ha fatto una dichiarazione importante: “La gente usa il Bitcoin come un asset speculativo: è come l'oro, solo che è virtuale e digitale... Non è un concorrente del dollaro, è in verità un concorrente dell'oro". La frase di Powell sembra fare una distinzione ormai ampiamente acquisita: anche se il Bitcoin è nato con la funzione di abilitare pagamenti peer2peer, privi di intermediari bancari, ad alimentare la domanda di questa "moneta" non è l'obiettivo di utilizzarlo come mezzo di pagamento.

Assai più cauta la nostra Bankitalia: la vice dg di via Nazionale, Chiara Scotti, nel suo intervento alla prima giornata del convegno Assiom Forex, l'associazione degli operatori finanziari, ha scelto parole misurate ma inequivocabili per avvisare dei nuovi

rischi dal cambio di passo oltre Oceano: i "recenti orientamenti americani, particolarmente in materia di criptoattività" potrebbero "complicare" i compiti di protezione dei consumatori e di resistenza del sistema finanziario.

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