Nobel, bestselleristi, grandi penne. A copiare sono bravi tutti...

Si può plagiare per gioco, per denaro, per amore, per disperazione, per necessità

Nobel, bestselleristi, grandi penne. A copiare sono bravi tutti...

La scrittura – come la pittura, il cinema, la musica – da sempre si nutre di ispirazioni, prestiti e contaminazioni. Dagli antichi ai postmoderni, tra scandali, accuse, processi, casi editoriali e polemiche giornalistiche, quella del plagio è una lunga storia di echi, calchi, scopiazzature, “citazioni”. Dagli autori classici alla narrativa di consumo, dai premi Nobel ai bestselleristi, dagli accademici alle grandi penne, dai romanzieri di culto a quelli di moda, tutti in qualche modo “copiano”: alcuni in maniera elegante, altri spudoratamente. Tutti rubano idee.. Ma è davvero un crimine? Catullo si ispirò alla vena poetica di Saffo, La Fontaine lesse molto bene Esopo, Molière usò un po’ troppo disinvoltamente Plauto… E poi ci sono Charles Dickens, Bertolt Brecht, Agatha Christie, Stephen King.... E tanti, tanti scrittori italiani. E' ciò che racconta Luigi Mascheroni nel suo nuovo saggio "Elogio del plagio. Storia, tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale al web" (Aragno, pagg. 270, euro 20) che sarà presentato giovedì al Salone del Libro di Torino e di cui anticipiamo qui un brano.

Si può plagiare per gioco, per denaro, per amore, per disperazione, per necessità. Esistono la clonazione di idee, il plagio volontario (il tipico copia-e-incolla), il plagio psichico, il plagio somatico (l'asinello del cartoon Donkey Xote ispirato a Cervantes e troppo simile nelle fattezze al Ciuchino di Shrek ), il plagio colto (prediletto dai citazionisti), il plagio «a mia insaputa» («Abitualmente lavoro prendendo appunti qua e là da altri libri; poi capita che riprendo in mano queste annotazioni e non ricordo più se sono mie o no, e quindi le copio senza che me ne accorga...») e il plagio di chi soffre di criptomnesia, una particolare alterazione della memoria per cui un ricordo – una trama, una battuta, una frase – può riaffiorare in noi come se (...)

(...) fosse una creazione personale. Esempi? Montale orecchiò – non molto bene – dai Frammenti lirici di Clemente Rebora e per certe altre cose da Sandro Penna. E Melania Mazzucco nel romanzo Vita , premio Strega 2003, senza accorgersene (?) ha riportato pagine intere di Guerra e pace di Tolstoj.

«Scrivere significa togliere le virgolette», insegna Roland Barthes. E probabilmente si riferiva a virgolette che aprono e chiudono frasi scritte da altri. E, stando fra gli accademici, si parva licet , Gianni Vattimo, anni fa, per difendere un collega filosofo particolarmente pigro dal punto di vista dell'originalità del pensiero, ma infaticabile copista di idee altrui (Umberto Galimberti), sostenne che prendere qua e là una frasetta non significa copiare – filosofare è un po' plagiare – e che, comunque, non è un vizio solo dei filosofi. E per fare un esempio, tirò con nonchalance una legnata che demolì un totem nazionale: «Una volta, il mio amico Gianpiero Cavaglià, quando uscì Danubio di Claudio Magris, mi disse: “Guarda, tutto copiato dai Baedeker ”...».

A proposito di Baedeker . C'è chi copiò per pigrizia, come Edmondo De Amicis. Quando, nel 1871, asceso al trono spagnolo il principe italiano Amedeo Ferdinando Maria di Savoia Aosta, il solerte Edmondo decide di concedersi un viaggio alla volta della Spagna, lo fa con sotto il braccio il Voyage en Espagne di Théophile Gautier, del 1843. E dopo un veloce tour di pochi mesi, appena tornato in Italia, scodella un reportage che fa pubblicare su La Nazione , e poi subito in volume col semplice titolo Spagna. Un instant book mediocre, a detta dei critici, che pure ebbe una fortuna editoriale incredibile. E sì che intere parti (la corrida, la descrizione dell'Escorial, la storia della moschea di Cordova, quella della cattedrale di Siviglia eccetera eccetera) sono la traduzione let-te-ra-le del libro di Gautier. Senza Cuore.

Emilio Salgari invece fu un insospettabile copiatore per necessità, condannato post mortem dal Tribunale delle Lettere. Ann Lawson Lucas, italianista dell'università di Hull, in Gran Bretagna, in un saggio del 2000 dimostrò che due degli undici romanzi pubblicati sotto pseudonimo dal padre di Sandokan e del Corsaro Nero sono plagi di semi-sconosciuti autori dell'Ottocento di lingua inglese. Per scrivere Le caverne dei diamanti , apparso nel 1899, lo scrittore veronese ricalcò pedissequamente il romanzo Le miniere di Re Salomone dell'inglese Henry Rider Haggard, del 1885, e per farlo si servì molto probabilmente di una traduzione francese del libro che uscì a Parigi nel 1888. Per il romanzo Avventure fra le pelli-rosse (1900), Salgari copiò quasi per intero (alcuni episodi sono omessi o alterati, qualche nome cambiato e le trame secondarie diverse...) il romanzo Nick of the Woods or the Jibbenainonasay di Robert Montgomery Bird, uscito nel 1837. L'autore del Corsaro Nero , però – sottolinea a mo' di giustificazione postuma la studiosa che ha scoperto i plagi – copiò per necessità: aveva bisogno di denaro per assistere la moglie sofferente di crisi nervose. E ciò basti a salvarlo dalla damnatio memoriae .

Poi c'è chi, invece, copiò per urgenza di curriculum, così da poter andare in cattedra più velocemente, come fece il futuro premio Nobel Luigi Pirandello. Il quale nel 1908 aveva già pubblicato Il fu Mattia Pascal ma si trovava in una situazione economica tutt'altro che tranquilla. Aspirava a una cattedra di ordinario alla facoltà di Magistero, dove già insegnava, ed era alla ricerca affannosa di titoli da presentare al concorso. Nacque così, alquanto abborracciato, il saggio L'umorismo , apparso quell'anno per le edizioni Carabba. Bene, un po' per la fretta, un po' forse per un certo snobismo intellettuale, il saggio fu imbastito con una marea di pagine rubate a man bassa. Nel 2009 l'italianista Daniela Marcheschi denunciò nel lavoro di Pirandello un'infinità di «prestiti» non dichiarati: da Alfred Binet, Gabriel Séailles, Gaetano Negri e Giovanni Marchesini. E intere pagine scopiazzate alla bell'e meglio da opere più divulgative. \

Chi invece copiò per amore, e non si sa se è peggio, fu Giuseppe Ungaretti, il quale fece le cose in grande: plagiò addirittura James Joyce, ma almeno per conquistare una ragazza bellissima (così riferiscono le cronache). Nel 1966, a 78 anni, l'autore de La terra promessa a San Paolo del Brasile conosce Bruna Bianco, italiana, poetessa, ventiseienne. Con lei ha per qualche anno uno scambio intensissimo di lettere e versi, ma niente di fisico, almeno sembra. E per lei ruba una lirica di Joyce: «Ora dormi, cuore inquieto,/ Ora dormi, su, dormi...», recita una delle nove liriche scritte nel 1966 (e poi pubblicate in volume, ecco il guaio...); «Ora dormi, dormi,/ Cuore inquieto!...», suona la XXXIV lirica di Musica da camera di Joyce (che è del 1907, mentre la prima traduzione italiana è del '43). Analogie, ricordi, somiglianze? O plagio? Ungaretti conosce benissimo l'inglese. Ha tradotto Shakespeare e Blake. Ha letto le poesie dell'irlandese, forse anche in edizione italiana \

Poi c'è chi ha copiato «per sbaglio». Corrado Augias, volto tv della cultura pop e firma notissima di Repubblica , nel maggio 2009, nel momento di massima ascesa mediatica del saggio scritto a quattro mani col teologo Vito Mancuso, Disputa su Dio e dintorni (Mondadori), è travolto dalla polemica. Qualcuno scopre che la pagina della Disputa che ospita le conclusioni di Augias, un passo fondamentale che tira le somme di tutte le riflessioni precedenti, è identica alla pagina 14 dell'edizione italiana del saggio del celebre biologo Edward Osborne Wilson La creazione (uscito da Adelphi nel 2008). La stampa si butta sulla polemica. Alla fine Augias, col consueto aplomb, ammette l'errore, un mea culpa sincero: non ha letto il saggio di Wilson, ha pescato il brano tra le fonti anonime di internet «prestando poca attenzione alla fonte di quel passaggio in fase di scrittura» – ma noi ipotizziamo che la colpa sia di un ghostwriter o di un ragazzo di bottega – e assicura che nelle successive edizioni sarà dichiarata la citazione...

E in effetti, il libro di Wilson non compariva neppure nella bibliografia, dove, invece, c'è spazio per i titoli «filosofici» di Eugenio Scalfari, fondatore e direttore in pectore del quotidiano di entrambi gli autori. Dal plagio alla piaggeria.

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